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Elon Musk braccato dai giudici: chiuso l'ufficio di X in Brasile

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Corrado Ocone
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La notizia che arriva dal Brasile purtroppo non sorprende. Sarebbe potuta accadere, forse accadrà, in un qualsiasi altro Paese “democratico” o governato dalla sinistra. È una notizia che riguarda tutti noi perché mette in discussione nientemeno che quel principio su cui si è fondata la modernità liberale, immortalato in tante Carte e impresso a caratteri indelebili nel Primo emendamento della Costituzione americana: la libertà d’espressione.

Al centro della questione c’è ancora una volta X, la piattaforma nata dalle ceneri del vecchio Twitter e completamente trasformata dal nuovo proprietario, Elon Musk. Il quale, tenendo fede al suo impegno di farne una piattaforma assolutamente libera e trasparente, ha con ciò reso a tutti evidente come il vecchio mondo dei social, pur presentandosi aperto e democratico, pluralistico, in realtà non lo fosse affatto essendo i suoi sistemi algoritmici di inclusione ed esclusione tutti informati ai criteri stabiliti dall’agenda woke della sinistra globale. Musk ha rimesso tutto in gioco, rompendo un incantesimo e introducendo il pluralismo in un mondo che era stato costruito attorno a un “pensiero unico” autoproclamatosi vero ed eticamente corretto, quindi indiscutibile.

 

La notizia che giunge ora da San Paolo non sorprende perché era evidente che gli esponenti del potere culturale globale, colti in fallo proprio mentre la loro partita sembrava essere stata vinta senza che nemmeno fosse giocata, avrebbero reagito con durezza. È così che sono nati gli “ordini di censura” e le “minacce di arresto” che i dirigenti di X si sono visti consegnare nel Paese di Lula, quel Brasile che di colpo è diventato, con l’espulsione dell’ex presidente Bolsonaro, una pedina indispensabile nel sistema di potere del progressismo mondiale. In particolare, il giudice della Corte suprema federale Alexandre Moraes, non contento di aver imposto multe salatissime alla compagnia, ha minacciato in segreto di tagliare l’accesso a X in tutto il Paese e di arrestare uno dei suoi rappresentanti in Brasile, Rachel de Oliveira Villa Nova Conceicao, nel caso in cui la piattaforma non avesse obbedito all'ordine di rimuovere alcuni profili. Essi, a suo insindacabile giudizio, contenevano false informazioni che non dovevano essere date in pasto al popolo, considerato incapace di giudicare con la sua testa e perciò da tutelare. Quello delle fake news, come è noto, è un concetto tanto labile e indefinito quanto pericoloso. Su di esse, sul loro presunto controllo, si è costruito un dispositivo di potere collaudato.

 

In un primo tempo X si era adeguata all’ordinanza della magistratura ordinaria, anche se l’ aveva impugnata come illegittima e contraria agli i stessi principi espressi nella Costituzione e nel Codice civile brasiliani. Il giudice Moraes, secondo quanto scritto da Musk stesso sul suo social, avrebbe dovuto dimettersi ed essere messo sotto accusa per avere violato quei principi. Rimessa la questione al procuratore generale Jorge Messias, X si era vista però rispondere ancora picche. Non solo: il procuratore, a dimostrazione di un uso politico della giustizia, si era prodigato in una considerazione assolutamente di parte, affermando che era impossibile vivere in una società in cui «miliardari residenti all'estero hanno il controllo dei social media».

La verità è che Musk dà fastidio perché ha dimostrato di agire in nome della libertà di tutti e non solo di chi la pensa come lui. Il fondatore di Tesla e Space X non è però un pavido, è anzi a suo modo un duro: se si pone un obiettivo, con il suo coraggio e la sua determinazione, prima o poi lo raggiunge. La sua storia imprenditoriale sta lì a dimostrarlo. Di qui la reazione che forse in Brasile non si aspettavano: non solo ha rese pubbliche le intimidazioni e le minacce ricevute, ma ha anche chiuso, con effetto immediato, il suo ufficio nel paese sudamericano (anche se la piattaforma social resterà comunque a disposizione degli utenti brasiliani).

Ovviamente, da sinistra non si è elevata nessuna voce in difesa della libertà di espressione e dello stato di diritto. Vi immaginate che strali avremmo invece sentito se una vicenda del genere fosse successa in un Paese governato dalla destra, ad esempio l’Italia? Ma anche su questo punto, non c’è ormai da sorprendersi più di tanto.

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