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Iran, strani attentati, è il momento delle faide e delle congiure

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Carlo Nicolato
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Capire le dinamiche di potere all’interno della Repubblica Islamica dell’Iran è un’impresa ardua anche per chi le frequenta. Basti vedere l’ultimo colpo di scena che ha visto come protagonista il generale dei pasdaran Ismail Qaani, arrestato e/o infartuato, insomma dato per spacciato con il fondato sospetto che in qualche modo faccia parte di quella fronda di venduti al Mossad che tra le altre cose avrebbe venduto al nemico la pelle di Nasrallah e del suo erede. Di certo si sa che Qaani era in Libano qualche giorno fa e avrebbe dovuto partecipare alla riunione del Consiglio della Shura su invito di Safieddine ma si è assentato, scusandosi, giusto qualche minuto prima dell’attacco israeliano che ha presumibilmente ucciso il successore in pectore di Nasrallah. Che ci fossero di mezzo le Guardie della rivoluzione, o almeno una parte di essa, era un’ipotesi avanzata da tempo, avvalorata anche dall’intervento dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad che con sospetto tempismo ha rivelato come nel 2021 si fosse scoperto che il responsabile iraniano delle operazioni di intelligence contro Israele lavorava in realtà per Israele.

In Iran è in atto uno scontro di potere ai livelli più alti che dura da anni ma che ha conosciuto un’accelerazione fulminea con la guerra in Medio Oriente. Una sorta di resa dei conti tra chi probabilmente non ha condiviso l’attacco di Hamas, non certo per motivi umanitari, e chi invece lo ha orchestrato. Stadi fatto che in pochi mesi si sono verificati alcuni eventi che si prestano a diverse chiavi di lettura e che messi insieme danno un’idea molto precaria del regime degli ayatollah. A gennaio scorso un attentato alla commemorazione del generale Soleimani con centinaia di morti. A maggio la morte in un sospetto incidente di elicottero del presidente Ebrahim Raisi. Due mesi più tardi l’omicidio, a Teheran, del capo politico di Hamas Ismail Haniyeh all'insediamento del presidente Masoud Pezeshkian. A settembre una catastrofica esplosione in una miniera di carbone e quindi l’eliminazione del principale alleato degli ayatollah, il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah. Il tutto inframmezzato da due attacchi più che altro dimostrativi a Israele.

 

 

Il filo che lega tutti questi avvenimenti è la debolezza del regime plasticamente rappresentata dall’isolamento, in questo momento non solo politico, della Guida Suprema. La corsa per la successione dell’ormai 85enne Ali Khamenei non è certo una novità, vista l’età dell’ayatollah e la sua salute malferma, ma mai come adesso è diventata di importanza vitale per il Paese. Il caso vuole che il successore più papabile fosse proprio Raisi le cui velleità si sono tuttavia improvvisamente schiantate con l’elicottero su cui viaggiava. Un caso? Difficile crederlo. Raisi era considerato molto vicino a Khamenei ma c’è chi è ancora più vicino, cioè suo figlio Mojtaba Khamenei, diventato ora il più papabile a prendere il posto del padre in una sorta di dinastia che non trova tuttavia il consenso dell’Assemblea degli Esperti sciiti. Mojtaba è noto per il suo ruolo nella repressione delle proteste di piazza del maggio del 2009, ma anche per la sua vicinanza proprio con Ahmadinejad, che non a caso dal nulla è tornato a parlare con rivelazioni pesanti come un’atomica. Il figlio di Khamenei non è uno che si fa vedere troppo in pubblico e ha destato scalpore quando un paio di settimane fa ha annunciato con un breve video condiviso sui social che avrebbe interrotto le sue lezioni di seminario virtuale per discepoli all'estero. Una notizia apparentemente marginale, ma che in realtà nasconde qualcosa di ben più grosso. Storicamente infatti gli ayatollah non abbandonano i loro doveri di seminario a meno che non siano troppo malati o stiano per ricevere una responsabilità più significativa. Mojtaba ha 55 anni e gode di buona salute.

 

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