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Ecco gli insetti robot: oggi per impollinare, domani per la guerra. Indiscrezioni clamorose

di Claudia Osmetti martedì 18 febbraio 2025

3' di lettura

Api. Ma anche locuste, lumache e scarafaggi, libellule, mosche e formiche. Robot, però. Cyber-insetti (telecomandati), piccini e sempre più sofisticati. Che in un futuro (neanche troppo lontano) saranno indispensabili sia sul piano militare (il coleottero-spia rischia di beffare i servizi segreti meglio di James Bond) sia su quello civile (per esempio nell’agricoltura).

Kevin Chen è un ricercatore dell’Mit (il Massachusetts institute of technology) e ha appena pubblicato sulla rivista Science robotics un lavoro che ha permesso (già adesso) di creare insetti-robot capaci di spostarsi come fanno quelli reali, pure di fare acrobazie in aria e, soprattutto, di volare per quindici minuti. Se vi sembra poco sappiate che non lo è per niente: le nano tecnologie hanno un limite di difficile soluzione. Sono leggerissime, ultra-moderne, resistenti e anche rapide (almeno in questo caso), ma hanno un’autonomia energetica risicata. Le batterie che possono montare, per evidenti ragioni di proporzione, sono minuscole. E minuscola è la loro capacità in termini di tenuta.

Portarle a un impiego che supera abbondantemente i dieci minuti d’orologio (e che, teoricamente, garantisce la copertura di una distanza di circa 270 metri, considerato che possono raggiungere la velocità di trenta centimetri al secondo) è una rivoluzione. O, meglio, una conquista. L’Mit di Chen c’è riuscito con microscopici insetti robotici a quattro ali (che pesano appena 700 milligrammi), in grado di resistere agli urti di foglie o piccoli rami, capaci di restare in movimento anche per mille secondi di seguito (il famigerato quarto d’ora) ed estremamente performanti.

Certo, la strada per il loro impiego è lunga. Ma la via è tracciata. Come nelle serre. Nelle coltivazioni intensive. In quell’agricoltura controllata dove le api (sante, santissime api) fanno quel che possono epperò non sempre sono presenti dappertutto. Già adesso il ricorso all’impollinazione artificiale è una realtà che, tuttavia, viene operata manualmente dalle persone. Se ci fosse, come ci sarà (la scienza ha solo bisogno di tempo), un insetto robotico, magari che si può monitorare tramite un’app o una console, magari supportato dall’intelligenza artificiale (qui siamo, per ora, nell’ambito della fantascienza, ma non dell’impossibile) che gli insegna “come comportarsi”, diventerebbe un gioco da ragazzi. Più o meno, letteralmente, come quelli della play station.

Poi ci sono le applicazioni di carattere militare, che proprio di una boutade da scienziato pazzoide non si tratta: se ne parla da decenni. La Washington university americana ha iniziato, per esempio, a progettare il suo primo “esercito di insetti robot” nel 2016, con la sponsorizzazione della Marina Usa e con l’obiettivo di “dare vita” a piccole locuste cibernetiche in grado di annusare la presenza di ordigni e bombe; mentre addirittura nel 2010 l’esercito israeliano (supportato dall’università di Be’er Sheva) ha optato per un piano “ibrido” di lumache-spia che sono comunissimi gasteropodi equipaggiati con nanoelettrodi in carbonio sul guscio e capaci di montare microcamere e sensori acustici. Vanno lentine, son pur sempre lumache, ma volete mettere quanto possano dimostrarsi utili?

La scienza dei micro insetti robotizzati sta facendo passi da gigante in tutto il mondo. Ingegneri meccanici, aeronautici, bio-ingegneri hanno davanti una sfida dall’esecuzione microscopica ma dalle implicazioni immense. Esperimenti sono stati condotti dal Regno Unito all’America del Nord passando per l’Europa e per la Cina (la Nanyang technological university, giusto l’anno scorso, ha impiantato su alcune blatte sibilanti del Madagascar una sorta di “zaino robotico”).

Al Politecnico di Losanna (Svizzera) hanno sviluppato le mosche artificiali, in quello di Delft (in Olanda) il moscerino cibernetico, all’università dell’Illinois il coleottero-robot. Il punto di partenza è sempre la natura. Perfetta, da scopiazzare e riproporre. Sciami robotici e antenne “sensoriali”, con buona pace degli animalisti duri e puri e lo stupore di tutti gli altri. Poi, d’accordo, la domanda di fondo resta una: la zanzara-robot (esiste, l’ha creata un team dell’Mit assieme ai colleghi dell’università di Harvard, è persino in grado di “riposarsi” in modo da riprendere energia tra una svolazzata e l’altra) non potevamo risparmiacela?

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