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Samar Abu Elouf: è sua la foto che ha vinto il World Press Photo 2025

di Nicoletta Orlandi Posti mercoledì 16 aprile 2025

3' di lettura

C’è una donna che ha attraversato le rovine della sua città rasa al suolo armata solo di una macchina fotografica. Si chiama Samar Abu Elouf, ha quarant’anni, fa la fotoreporter ed è una delle voci visive più potenti del nostro tempo. Viveva e lavorava a Gaza City da dove documentava la vita quotidiana di una popolazione messa in ginocchio dalla devastazione provocata dalle bombe israeliane. Poi, nel 2023 è stata evacuata dalla Striscia nel dicembre 2023, ma ha proseguito il suo lavoro raccontando le storie dei gazawi deportati a causa del conflitto. Uno dei suoi scatti, così intimo e devastante, è stato appena incoronato "Foto dell’anno" al World Press Photo 2025. Protagonista dell’immagine è Mahmoud Ajjour, un bambino palestinese di nove, in canottiera, rivolto verso una finestra da cui filtra una luce che disegna una linea morbida sul suo volto, evocando una calma apparente che si spezza nel momento in cui lo sguardo si accorge che Mahmoud non ha le braccia. Le ha perse a Gaza, nel marzo 2024, durante un attacco israeliano. Una posa quasi quotidiana, domestica, se non fosse che quel corpo bambino “incompleto” lascia chi lo osserva in uno stato di sospensione, tra bellezza e sgomento.

Lo scatto è stato realizzato il 28 giugno 2024 a Doha, dove il piccolo era stato trasferito per ricevere cure. È lì che Abu Elouf lo ha incontrato e ha deciso di raccontare la sua storia al mondo. Una storia di coraggio: non aveva ancora compiuto dieci anni, eppure Mahmoud aveva già compiuto un atto da adulto: si era voltato. Mentre la sua famiglia fuggiva dall’ennesimo attacco israeliano a Gaza, lui si era fermato per tornare indietro ad aiutarli. Un istante dopo, la deflagrazione. 

Questo frammento di una tragedia infinita, fissato con struggente delicatezza dallo sguardo della fotogiornalista palestinese Abu Elouf, parla senza gridare, come ha osservato la direttrice del concorso Joumana El Zein Khoury: «Una foto silenziosa che parla con forza». Ma in quel volto bambino trasformato dalla guerra, Samar Abu Elouf non ha trovato un’icona da esibire, ma un essere umano da restituire alla dignità con il racconto.  «Questa fotografia parla dei costi a lungo termine della guerra, dei silenzi che perpetuano la violenza e del ruolo del giornalismo nel denunciare queste realtà», ha spiegato la giuria nelle motivazioni del premio. Non si limita a mostrare, ma interroga. Non documenta soltanto, ma disturba la quiete dello spettatore. È, come ha detto Lucy Conticello, presidente della giuria globale, «un punto d’accesso stratificato a una storia complessa». Ed è proprio qui che l’opera di Abu Elouf trascende il fotogiornalismo tradizionale: diventa atto artistico, politico, umano.

Fotografa freelance per il New York Times e già collaboratrice di Reuters, Abu Elouf ha lavorato in prima linea per oltre un decennio, raccontando non solo i conflitti ma la quotidianità straziata di chi li subisce. Ha documentato le proteste al confine nel 2018-2019, il conflitto dell’11 maggio 2021 – in cui ha perso anche membri della sua famiglia – e, infine, l’esodo del 2023. Il suo sguardo è parte integrante di una memoria collettiva che si oppone all’oblio. E Mahmoud, oggi, è il suo testimone più fragile e tenace. In Qatar impara a scrivere, giocare e aprire le porte con i piedi. Ha bisogno di assistenza per vestirsi, mangiare, vivere. Il suo desiderio è semplice e disarmante: «ottenere delle protesi e vivere come qualsiasi altro bambino».  Non c’è retorica nella foto dell’anno, solo realtà. Non c’è spettacolarizzazione, ma intimità. Samar Abu Elouf non cerca la gloria: rivendica il diritto alla memoria. In un tempo che consuma notizie e immagini con la velocità di un feed, la sua opera ci obbliga a fermarci, guardarci dentro, e forse a vergognarci un po’.

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