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Il Sultano contestato in patria si rilancia come spalla di Trump

Erdogan ha rapporti forti con Mosca però vende droni a Kiev; è nella Nato, ma a modo suo Ha già mediato l’accordo sul grano del Mar Nero e ora si ripropone nel momento che conta
di Carlo Nicolato martedì 13 maggio 2025

4' di lettura

Reinvestito da Trump del suo ruolo di mediatore, Erdogan ha detto che «i colloqui di pace tra Russia e Ucraina proseguiranno a Istanbul partendo da dove si erano interrotti». Il riferimento del presidente turco è a quell’incontro del 29 marzo 2022 quando a poco più di un mese dall’inizio della guerra sembrava che le delegazioni di Ucraina e Russia fossero arrivate a un accordo e che le ostilità avrebbero dovuto chiudersi di lìa poco. Per Erdogan si sarebbe trattato di un successo diplomatico di inestimabile prestigio ottenuto grazie alla sua posizione unica del suo Paese, a metà strada tra Nato, Unione Europea, Medio Oriente e la preziosa amicizia personale con Vladimir Putin («è una persona affidabile e un uomo di parola» disse una volta di lui il presidente russo).

Per la verità non fu Erdogan a dare il via alle trattative, i colloqui proseguivano già da qualche settimana in Bielorussia ma la troppa vicinanza di Lukashenko al Cremlino aveva fatto credere che la Turchia sarebbe stato un luogo decisamente più consono. Erdogan ne approfittò e d’altronde vantava buone entrature anche con l’Ucraina i cui rapporti erano stati rinsaldati da recenti contratti per varie forniture militari.

Durante la visita di Zelensky in Turchia nell’ottobre 2020 era stato firmato infatti un accordo di cooperazione tra i due Paesi, mentre due anni più tardi, durante il viaggio di Erdogan in Ucraina, fu stilato un altro patto per forniture tecnologiche aerospaziali e fu deciso che la Baykar avrebbe costruito una fabbrica di droni nei pressi di Kiev.
Quando è iniziata la guerra l’esercito ucraino utilizzava già molte attrezzature di origine turca e anzi si può dire che almeno le prime fasi del conflitto furono l'occasione per provare sul campo la micidiale efficacia dei rinomati droni. «Siete dinanzi a una responsabilità storica» disse Erdogan alle delegazioni di Ucraina e Russia quel 29 marzo.

Dell'incontro si narrano tuttora versioni contrastanti, ma quel che è certo è che non ci furono particolari motivi di frizione. Secondo Samuel Charap e Sergey Radchenko di Foreign Affairs i risultati erano stati concreti in quanto si era concordata una base per le trattative in cui l’Ucraina sarebbe diventata uno Stato neutrale e senza armi nucleari, e avrebbe nel contempo rinunciato all’adesione alla Nato. Garanti dell’intesa sarebbero stati i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (inclusa la Russia) insieme a Canada, Germania, Israele, Italia, Polonia e Turchia. Qualcosa poi però andò storto, c’è chi dice che la ritirata di Mosca e la possibile vittoria di Zelensky avevano ingolosito gli alleati, in particolare Boris Johnson che si mise di traverso, ma anche le atrocità commesse dai russi avevano reso molto più complicato qualsiasi tipo dialogo.

La fine della trattativa non fu la fine dell’intraprendenza di Erdogan che qualche mese più tardi fu l’artefice dell’accordo sul grano del Mar Nero che consentì di ripristinare il traffico di navi mercantili cariche di grano e sementi dai porti ucraini e russi attraverso il Bosforo, sotto la supervisione turca, mettendo fine a una crisi alimentare globale. Questo accordo fu disdetto da Mosca l’anno successivo ma i tentativi di Erdogan continuarono nonostante tra le due parti l’odio sembrasse ormai riparabile solo con una catastrofe umana. Nel luglio dello scorso anno ad Astana, il presidente turco disse di credere nella possibilità di una «pace giusta e soddisfacente per entrambe le parti» e si è offerto di conseguenza nel ruolo di intermediario. Erdogan aveva parlato di «discussioni molto approfondite» avute in Uzbekistan con Putin che gli aveva fatto credere «di essere disposto a porre fine a questa situazione il prima possibile».

Speranze vane, Lavrov rispose senza mezzi termini chela strada non era praticabile, ma Erdogan è rimasto alla finestra e stavolta l’opportunità di rientrare nella partita gliel’ha offerta il nuovo presidente americano che per lui, secondo una sua recente dichiarazione, nutre «amicizia e rispetto». «Non vedo l'ora di lavorare con il presidente Erdogan per porre fine alla ridicola ma mortale guerra tra Russia e Ucraina, ORA!», ha scritto Trump su Truth dopo aver sentito telefonicamente il turco. Stavolta Putin sembra in qualche modo disponibile, Zelensky sfida il presidente russo a presentarsi personalmente e il tycoon dice che potrebbe cambiare i programmi e presentari anche lui in quello che a questo punto potrebbe diventare un incontro clamoroso. In ogni caso una mossa che di fatto taglia fuori l’Europa e rimette la Turchia nella sua posizione naturale di baricentro. Il problema è che nemmeno Erdogan ha la bacchetta magica e soprattutto ha molte meno carte da giocare del presidente americano.

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