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In troppi nascondo le colpe di Hamas

C’è spirito anti-israeliano e forse anche anti-semita in molti media e in molti protagonisti politici in giro per il mondo? Purtroppo sì. A maggior ragione il governo di Israele non deve fornire cartucce a questi orrendi cecchini
di Daniele Capezzone venerdì 23 maggio 2025

4' di lettura

Le parole sono importanti sempre, e sono dotate di una potenza rivelatrice dei nostri reali pensieri: sia quando vengono pronunciate, sia se possibile ancora di più - quando invece vengono taciute, occultate, rimosse. Ecco: nel grande dibattito su Gaza e sul Medio Oriente, anzi nel grande anatema collettivo che a sinistra - e non solo - viene scagliato contro Israele e contro il governo di Gerusalemme, manca un genere una parola di cinque lettere: la parola “Hamas”. È questa l’operazione mediatica, politica e culturale in corso. E starei per dire che si tratta di una manovra più temibile quando è compiuta in buona fede (in qualche caso accade) rispetto a quando invece sia condotta in scoperta mala fede (quest’ultimo caso, decisamente più frequente, per lo meno genera istintivi anticorpi in chi ascolta). Come si procede, allora?

Semplice. Si dicono cose (ragionevoli o irragionevoli, condivisibili o meno: starei per dire che questo è il meno) sulle scelte di Netanyahu e sulle azioni dell’esercito di Gerusalemme, omettendo alcuni “dettagli”. Primo: non si cita Hamas, cioè il gruppo terroristico che ha nello statuto l’obiettivo esplicito della distruzione di Israele. Secondo: non si cita il 7 ottobre, data di un pogrom privo di precedenti negli ultimi ottant’anni (bisogna risalire ai rastrellamenti nazisti). Terzo: non si citano gli ostaggi israeliani tuttora nelle mani di Hamas, che pervicacemente non li restituisce, dopo averne ucciso una enorme quantità, e dopo aver giocato in modo macabro perfino sui poveri cadaveri di alcuni sequestrati. Quarto: non si citano i tunnel di Gaza e tutta l’operazione volta a preservare armi e guerriglieri destinati a procurare ulteriore morte e distruzione. Quinto: non si cita il fatto che quei rifugi siano largamente preclusi alla popolazione civile palestinese, che anzi è consapevolmente usata dai terroristi come un immenso scudo umano. I leader di Hamas del resto lo chiarirono all’indomani del 7 ottobre: occorreva massimizzare il sangue (proprio ed altrui). E infine, sesto: non si citano le commoventi manifestazioni di non pochi cittadini palestinesi contro Hamas e contro i terroristi che hanno devastato la vita di intere generazioni di abitanti di quei territori. Con queste sei scientifiche omissioni, l’operazione retorica anti-israeliana funziona alla grande. E perfino lo spettacolare ritorno a Washington del terrorismo antisemita non fa fare un plissé ai soliti noti. Anzi, un eloquente comunicato della delegazione parlamentare grillina non si è fatta scrupolo di definire quell’attentato una “conseguenza” (bontà loro, i pentastellati hanno aggiunto l’aggettivo “deprecabile”) del clima di odio suscitato (testuale) “dai crimini commessi dal governo Netanyahu”. Chiaro, no? Forse i parlamentari grillini non se ne sono nemmeno resi conto: ma hanno lasciato nero su bianco qualcosa che rischia di assomigliare a una giustificazione di un atto terroristico, o comunque a una sua discutibile contestualizzazione che - alla fine - sembra scaricare su Israele la responsabilità prima e ultima dell’accaduto. Può essere questa una mia errata interpretazione? Non lo escludo. Per antica ingenuità, tendo sempre a presupporre buona fede e ottime intenzioni anche nel più lontano degli interlocutori. Ma resta il dato oggettivo: perfino un doppio omicidio a sangue freddo contro membri dell’ambasciata israeliana in America non sembra meritare una condanna senza se e senza ma. Il “se” è il “ma” spuntano sotto forma di presunta spiegazione, di pretesa contestualizzazione. E intanto risparisce tutto il resto, a partire dalla parola proibita “Hamas”. Non finirà bene, c’è da temere.

Ogni volta che - volenti o nolenti si omette il ruolo di Hamas e la questione degli ostaggi, si offre ai terroristi una ciambella di salvataggio, un assist, un aiuto oggettivo (anche se - speriamo - involontario). Ps: ciò non toglie (noi sì possiamo certamente dirlo: amici di Israele ieri, oggi e domani; amici dei giorni difficili, non delle giornate in cui tutti gli altri si affollano nelle feste o nelle cerimonie in Ambasciata) che anche il governo Netanyahu debba porsi un problema. Israele sta vincendo sul campo (bene, anzi molto bene), ma rischia di perdere la battaglia dei cuori e delle menti. Ecco, nei tempi di guerra anche mediatica in cui viviamo, le ragioni di una vittoria e la rivendicazione anche morale e culturale di ciò che si sta facendo non possono rappresentare un’attività secondaria o dimenticata. Lo dicemmo dopo il 7 ottobre, quando da qui invocammo - ma fummo ascoltati troppo poco e troppo tardi - l’integrale e immediata diffusione delle immagini della strage compiuta da Hamas: far vedere subito a tutti quell’orrore, quelle scene da nuovo Olocausto, sarebbe stato decisivo. Oggi si rischia un effetto uguale e contrario: si vedono solo le sofferenze della popolazione palestinese, che dunque- giustamente - esistono negli occhi e nei cuori dell’opinione pubblica di tutto il mondo. Non si vede e non si sente tutto il resto. C’è spirito anti-israeliano e forse anche anti-semita in molti media e in molti protagonisti politici in giro per il mondo? Purtroppo sì. A maggior ragione il governo di Israele non deve fornire cartucce a questi orrendi cecchini. 

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