Il tentativo fallito innesca una scontata dietrologia su quello che poteva essere e non è stato. Vladimir Putin scampa al piano ucraino di abbattere l’elicottero con cui si stava spostando, e lascia le cose esattamente com’erano, salvo dover aggiungere che la proverbiale mancanza di umorismo del russo lo avrà fatto incarognire ancora di più contro Volodimir Zelensky e contro Kiev già martoriata dal cielo da sciami di droni. La questione che spariglia le carte è che sì, l’attentato aveva come obiettivo strategico di accorciare la guerra, ma il conflitto è praticamente e da tempo già vinto dall’uomo del Cremlino.
L’idea di decapitare il vertice manca quindi della conseguenza automatica di abbattere il sistema che lo esprime, facendo magari leva sui proverbiali e acerrimi scontri di potere di sovietica memoria, e rovesciare le sorti belliche. Se il calcolo dell’Ucraina era di colpire in alto e stare poi a vedere l’effetto che fa, le incognite sul tavolo sono però diverse e la lezione della storia racconta altro. L’epoca contemporanea non è quella in cui i re e i condottieri guidavano di persona gli eserciti in battaglia, e l’uccisione del capo gettava le file nemiche nello sconcerto, sbandandole. Giulio Cesare non stava nelle retrovie a distanza di sicurezza dal furore della guerra, e non lo fece fuori Vercingetorige in un’imboscata assicurando così la vittoria ai galli, ma una congiura di palazzo a Roma. L’eliminazione mirata del nemico-simbolo ha spesso una ricaduta psicologica ma non sempre segna l’esito di una guerra.
Quando a Waterloo la Vecchia Guardia napoleonica rinculò, non determinò l’esito di quello scontro ma manifestò di fronte a tutti gli eserciti che esso era già segnato. Quanto a Napoleone, gli inglesi non riuscirono mai ad avvicinarglisi, né trovarono un Muzio Scevola che si offrì di pugnalare il Porsenna còrso. Nel Novecento gli attentati ad Adolf Hitler furono decine, ma non ce ne fu neppure uno di matrice alleata. E sì che l’eliminazione cruenta del Führer avrebbe avuto l’effetto voluto, come nella prima fase volevano i generali tedeschi per liberarsene. Furono gli stessi dell’attentato del 20 luglio 1944, quando la guerra si era messa male e gli angloamericani erano sbarcati in Normandia. Uccidere Hitler avrebbe certamente abbreviato il conflitto, ma lo scopo della casta militare era di chiudere il fronte occidentale con una pace di compromesso e continuare a combattere a oriente per fermare l’Armata Rossa, con o senza il supporto alleato. L’epurazione nella Wehrmacht rese ancora più politicizzata e ideologica la guerra totale. E quando Hitler si tolse da solo di mezzo, suicidandosi nel bunker, l’idra cambiò semplicemente testa con Josef Goebbels. Poi si suicidò pure lui e tutto finì per annientamento.
Benito Mussolini, almeno, entrò davvero nel mirino degli Alleati con una missione segreta denominata con scarsa fantasia Operazione Dux. Il Maresciallo dell’aria britannico Arthur Harris aveva deciso di mandare su Roma gli specialisti del 617° squadrone del 5° Group e seppellire Mussolini sotto le macerie di Palazzo Venezia o Villa Torlonia, bombardandoli a tappeto. Il suo piano era di decapitare il fascismo e farlo crollare senza il carismatico Duce ottenendo la resa dell’Italia. Tutto era pronto ma occorreva il via libera di Winston Churchill che si era quindi consultato con il ministro degli Esteri Anthony Eden.
Questi, il 14 luglio 1943, in un documento top secret, espresse parere negativo: nonostante la sua avversione per Mussolini e il superamento delle riserve sulla popolazione civile e pure sul Vaticano, era convinto che le possibilità di uccidere il Duce fossero scarse, al pari di infliggere un colpo decisivo al regime fascista. Il fallimento sarebbe diventato uno straordinario strumento di propaganda contro la Gran Bretagna capace di un “assassinio di Stato”, soprattutto se a prezzo di distruzioni immani su Roma e su quello che rappresentava nel mondo. Churchill, così, metteva il veto e l’Operazione Dux, programmata per il 19 luglio, veniva annullata. Roma sarà bombardata lo stesso quel giorno, ma Mussolini neppure era nella capitale: si trovava a Feltre per un summit con Hitler, e si era preparato a parlargli chiaro. Il Führer però era stato al solito torrenziale e si era interrotto solo quando il Duce gli aveva comunicato la notizia che Roma era sotto attacco. Hitler aveva fatto spallucce: Berlino la colpivano giorno e notte. Ma loro, i due dittatori, non sarebbero mai stati sfiorati dall’eliminazione mirata. Putin,inve ce, appena appena.