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Iran, repressioni e impiccagioni: tutte le nefandezze del regime

di Daniele Dell'Orco martedì 17 giugno 2025

3' di lettura

È il silenzio dei complici, quello di una sinistra italiana che, all’indomani dell’operazione Rising Lion lanciata da Israele contro obiettivi iraniani, ha indossato l’elmetto della “condanna selettiva”. Anzi, non ha mai smesso. Già dal 7 ottobre in avanti, da quando cioè non ha mai mancato di dipingere Netanyahu come Belzebù, di agitare striscioni fanatici in piazza e di sfoggiare post lacrimogeni su Instagram. Un coro stonato, ma unito, nella sua incontenibile verbosità. Poi però, quando si tratta di alzare lo sguardo sul “paradiso” che Hamas ha creato nella Striscia di Gaza, o su ciò che gli ayatollah hanno costruito in decenni di terrore teocratico in Iran, all'improvviso diventano tutti vittime di laringite ideologica.

Intrisi di un anti-occidentalismo nevrotico e autolesionista, i progressisti tendono la mano ad un Paese che ci odia perché, secondo loro, ha ragione di farlo. E allora dovrebbe avere ragioni anche per pestare a morte Mahsa Amini, 22 anni, che nel settembre 2022 è stata massacrata dalla polizia morale per un velo “mal indossato”. O per reprimere l’ondata di proteste senza precedenti che be ha fatto seguito usando il piombo (oltre 550 manifestanti sono stati uccisi, tra cui 68 minorenni, più di 19mila persone arrestate). O per scegliere di punire un’intera generazione per aver invocato quelle libertà che i comunisti à la page ritengono ormai superflue.

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E che dire della simpatica pratica iraniana di impiccare in pubblico i manifestanti più zelanti, dopo processi-lampo spesso basati su confessioni estorte sotto tortura. Mohammad Mehdi Karami, 21 anni, era uno di loro: giustiziato senza diritto alla difesa, senza prove certe, senza dignità. Nel 2024, l’Iran ha toccato un nuovo record: 975 esecuzioni in un solo anno. Tra queste, 31 donne, molte delle quali condannate per reati legati al traffico di droga, che si trovano spesso a vivere in povertà, o ambienti di violenze domestiche riempite di abusi sistemici. Un’escalation che persino l’Onu definisce «uso politico della pena capitale».

Il regime iraniano, preoccupatissimo per le condanne internazionali, ha scelto di stare al passo coi tempi affinando la sua sorveglianza per essere persino più efficiente: con droni, telecamere e riconoscimento facciale si individuano donne “svelate”, mentre le app per la “delazione elettronica” vengono diffuse per denunciare chi sta senza hijab. In parallelo, i detenuti politici vengono privati di cure mediche, come Narges Mohammadi, Premio Nobel per la Pace, oggi gravemente malata in carcere. Poi c’è la repressione sistematica contro le minoranze: curdi, baluci, sunniti. Il solo fatto di appartenere a una di queste comunità può comportare esclusione sociale, arresto o esecuzione.

E infine – o forse soprattutto – c’è la persecuzione dei cittadini Lgbtq+. In Iran, l’omosessualità è un crimine che può portare alla morte. Nel 2021, due uomini sono stati impiccati nella città di Maragheh per presunti rapporti omosessuali. Sempre nel 2021, il ventenne Ali Fazeli Monfared è stato decapitato dai parenti, in un omicidio d’onore dopo che l’esercito aveva involontariamente rivelato la sua omosessualità. Il regime non ha mosso un dito. Nel 2022, Zahra Seddiqi Hamedani, attivista transgender, è stata condannata a morte per «corruzione sulla Terra», ossia per aver difeso i diritti Lgbtq+. Una sentenza grottesca, che ha indignato il mondo ma non ha smosso una parola dagli orgogliosissimi difensori dei diritti gay (in Italia). E se tutto questo non bastasse, l’Iran reprime lavoratori in sciopero, studenti universitari, giornalisti, scrittori, persino bambini, accusati di «attività contro la sicurezza nazionale». Tutto in nome di un ordine teocratico che non ammette opposizione. Per certa sinistra, tutto questo è secondario.

Non perché non si sappia. Ma perché ammetterlo significherebbe infrangere l’illusione: quella che l’Occidente sia sempre e comunque il male assoluto, e che i suoi nemici siano in qualche modo “giustificati”. Quello tra i taciturni Pd, M5S e una parte di Avs non è altro che il campo largo dell’ipocrisia. E una forma di alleanza morale con Teheran che grida vendetta. Perché indignarsi a targhe alterne, oggi, è peggio che non indignarsi affatto.

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