Parolin smentisce Leone XIV: cosa sta succedendo in Vaticano

di Andrea Morigidomenica 20 luglio 2025
Parolin smentisce Leone XIV: cosa sta succedendo in Vaticano
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Uno strano incidente diplomatico tutto interno al Vaticano sembra suggerire l’esistenza di due linee contrapposte della Santa Sede sul Medio Oriente. Da un lato le parole di Papa Leone XIV – che aveva indicato al premier dello Stato ebraico Benjamin Netanya hu «l’urgenza di proteggere i luoghi di culto e soprattutto i fedeli e tutte le persone in Palestina e Israele» - e del patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, che al Corriere della Sera si era detto certo che «la Chiesa non è un “target”». Entrambi impegnati non solo per il cessate il fuoco, ma perla fine della guerra a nella Striscia, e allo stesso tempo prudenti sull’attribuzione delle responsabilità per l’uccisione di tre persone nella parrocchia cattolica della Sacra Famiglia in Gaza.

Su un altro versante, arrivano dichiarazioni che appaiono come un tentativo di correggere la rotta da parte del segretario di Stato vaticano. Il cardinale Pietro Parolin si fa sentire con un’intervista al Tg2Post in cui rivendica la legittimità di «dubitare» che il raid non sia stato determinato da «una volontà di colpire direttamente una chiesa cristiana, sapendo quanto i cristiani sono un elemento di moderazione proprio all’interno del quadro del Medio Oriente e anche nei rapporti tra palestinesi ed ebrei». «Quindi ha osservato il segretario di Stato vaticano -, ci sarebbe ancora una volta una volontà di far fuori qualsiasi elemento che possa aiutare ad arrivare ad una tregua perlomeno e poi ad una pace».

Ecco come si possono sparigliare le carte, considerando che Netanyahu, dopo aver invitato il Pontefice a visitare Israele, aveva assicurato: «I negoziati stanno procedendo, siamo vicini a un accordo». Se non ci fosse Hamas a impedirlo, si sarebbe già raggiunto, fra l’altro.

Ora, a Gerusalemme non sapranno più se ascoltare la voce autorevole del Pontefice e del suo rappresentante in Terrasanta, che attendono prudentemente la conclusione dell’inchiesta sull’incidente oppure quella del Segretario di Stato, più propenso ad accusare Israele di averlo fatto apposta.

Oppure quella della diocesi di Roma, retta dal cardinale vicario Baldassarre Reina, che ha diffuso una nota in cui si dichiara che «la strategia israeliana non ha risparmiato neanche la Parrocchia latina della Sacra Famiglia» e, pur «invocando il dono della Pace per quella terra martoriata e continuando a chiedere la liberazione degli ostaggi» e stringendosi «in preghiera per le vittime» ed esprimendo «solidarietà alle loro famiglie», ambiguamente «invoca la conversione dei carnefici», senza accusare i terroristi islamici, ma facendo appello alla comunità internazionale affinché si decida ad «adottare tutte le misure diplomatiche per arrestare questo assurdo e deplorevole bagno di sangue».

Oppure, ancora, quella suggerita dall’editoriale di Andrea Tornielli, direttore editoriale dei media vaticani, in un articolo pubblicato sul sito di Vatican News, in cui si sottolineava che le scuse israeliane «certo non possono rassicurare, non soltanto perché smentite dalle eloquenti immagini delle moschee rase al suolo e delle chiese attaccate – il raid contro quella ortodossa di San Porfirio è costato la vita a decine di persone – ma anche perché da un anno e mezzo si attendono ancora i risultati dell’inchiesta sull’uccisione di due donne cristiane colpite da un cecchino nella parrocchia di Gaza».

È naturale e comprensibile che la comunità cristiana di lingua araba, per una non banale questione di sopravvivenza, non abbia altra scelta se non quella di adeguarsi alla propaganda di Hamas, che da tre anni continua a diffondere la narrazione del genocidio, a cui hanno abboccato le ong e le organizzazioni internazionali.

Semmai sorprende che siano gli organi di stampa della Santa Sede a incolpare lo Stato ebraico di «quotidiane stragi a Gaza, dove ogni settimana decine di bambini, donne, uomini innocenti vengono uccisi, vittime collaterali dei raid o dei colpi di chi dovrebbe garantire la distribuzione del cibo in sicurezza», senza invece far riferimento alla violenza dei jihadisti che torturano e uccidono i cittadini di Gaza per mettere a tacere le proteste della popolazione. Senza spiegare che numerosi luoghi di culto, senza contare gli ospedali e le scuole, nel territorio governato da Hamas, erano divenuti caserme, polveriere e campi di concentramento per scudi umani. Fra gli ultimi, involontari, abitanti delle periferie esistenziali ci sono anche vittime dimenticate, fra le quali le donne citate dal Dinah Project che hanno subito stupri da parte dei loro rapitori durante e dopo l’attacco del 7 ottobre 2022.

Fa da argine la lunga tradizione della diplomazia pontifica, che sceglie sempre interlocutori istituzionali e rappresentativi, non formazioni armate, perché non sia la violenza a prevalere. Sebbene nel 2015 sia stato firmato un accordo bilateraletra la Santa Sede e l’Autorità Nazionale Palestinese, che regola i rapporti tra la Chiesa cattolica e le autorità palestinesi, rimane il fatto che la presenza cristiana in Israele è andata costantemente crescendo fino a raggiungere il 2% della popolazione, mentre dalla Cisgiordania e da Gaza gli “infedeli” fuggono perché sono perseguitati: non dagli ebrei, ma dai musulmani. Del resto il dialogo è possibile solo con chi ce lo consente.

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