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Ibiza, l'estate maledetta: droga, violenza e morti a raffica

di Andrea Tempestini domenica 27 luglio 2025

4' di lettura

Va tutto storto e si parla solo dei morti. Già, molti muoiono. Che per Ibizia sarebbe stata un’estate particolare lo si è capito sin dal principio, da quando – metà giugno – iniziarono a rimbalzare prima sui social, poi in tv e sui giornali, le foto di enormi serpentoni che strisciavano ovunque: case, giardini, parchi. E anche in mare, nell’acqua salata. Colubro ferro di cavallo, il nome del rettile infestante. Roba da disaster-movie: inglesi che si schiantano in gommone contro un bestione lungo due metri, il comune dell’isola che distribuisce trappole, l’immancabile «è colpa del caldo» e profezie su estati sempre peggiori, dopo i serpenti Godzilla, presunto e futuribile effetto collaterale del global-warming.

Poi i rettili sono passati in secondo piano, non bucavano più né sui social né in tv. In secondo piano anche perché le persone hanno iniziato a morire. Non una “pasta che sballa”, non morti in discoteca. Ma cronaca nera, storie dal perimetro tutto da definire. Come nei migliori b-movie c’è poco da scherzare e molto da raccontare: violenza, sangue, cadaveri.

Una delle ultime vicende per ovvie ragioni è quella di cui abbiamo sentito più parlare: dj Godzi, all’anagrafe Michele Noschese, dj di discreta fama, italiano. Aveva 35 anni. Se ne è andato all’alba convulsa e atroce del 19 luglio. Lo abbiamo scoperto solo un paio di giorni dopo: pare abbiano provato a insabbiare il caso. Si è parlato di un festino pieno zeppo di droga, di lui che inseguiva una ragazza su un balcone, di un coltello che forse c’era o forse no, di un anziano – a cui Michele era molto legato – che però avrebbe aggredito (un video lo conferma). «È ancora pieno di lividi», dice la figlia. La Guardia Civil avrebbe ammanettato Godzi al letto. Lo avrebbe pestato. Di brutto. Papà dice che è morto «di botte» e che «forse lo faccio cremare qui, mia moglie non può vederlo così combinato». La Guardia Civil invece sostiene che lo ha ucciso la droga. Per certo una storiaccia finita nel peggiore dei modi: la prima autopsia, archiviata in fretta e furia, alimenta giallo e sospetti.

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Due giorni dopo è toccato allo scozzese Gary Kelly: aveva 19 anni e davanti a sé una carriera che gli addetti ai lavori assicuravano sarebbe stata folgorante. Era “pro” di hockey sul ghiaccio per i Dundee Stars e la sua vita è terminata lo scorso lunedì, sempre all’alba, all’Ibiza Rocks Hotel. «Caduto accidentalmente dal terzo piano», spiegava la Guardia Civil. Circostanza confermata dagli agghiaccianti video a circuito chiuso. Non è chiaro se sia caduto o se sia lanciato. «Balconing», lo chiamano. Ossia: saltare da un balcone in una piscina. Se sbagli mira, muori. Ne esiste una variante il cui scopo è passare da un balcone all’altro: se sbagli, parimenti, muori.

Stessa sorte e stesso hotel per Evan Thomson: aveva 26 anni, lo scorso 7 luglio è caduto da un balcone ed è morto. Qui le circostanze appaiono un poco più misteriose, il dubbio è che lo “sballo” abbia qualcosa a che spartire con la tragedia. Insomma, al Rocks Hotel due morti in due settimane. L’albergo, dove di notte la musica spingeva, ha deciso di sospendere gli eventi in programma a causa «della gravità della situazione e per rispetto delle persone coinvolte». Cancellati il concerto del rapper Dizzee Rascal e il set drum’n’bass dei Rudimental. Poi si vedrà. 

In verità, i morti al Rocks sono tre: a fine aprile la prima vittima, una turista italiana di origini turche, aveva 19 anni. È morta cadendo da un balcone. Una strage: dal 2010, ossia da quando la Fundaciòn Io raccoglie i dati, sono 59 le vite spezzate dal balconing, 41 solo in Spagna, l’età media è di 24 anni, il 95% sono maschi.

A Ibiza – era sempre il 19 luglio – è morta un’altra italiana. Ne abbiamo avuto notizia solo ieri. I balconi non c’entrano nulla. Francesca Ariazzi, 36 anni, bresciana, si è accasciata subito dopo essere scesa dal traghetto salpato da Formentera. Erano le sei del mattino. Ora di punta per le ambulanze: gli strafatti crollano all’alba. E per lei, che strafatta non era, non si è trovata un’ambulanza per tempo. La separavano solo due chilometri dall’ospedale Can Misses, per percorrerli ci sono voluti più di 40 minuti. Francesca prima di morire ha passato cinque giorni tra terapia intensiva e rianimazione.

Un bollettino dell’orrore, quotidiano. Morti desolanti. Morti violente. Morti indotte. E la “pancia” dell’isola, quella di chi Ibiza la vive, sempre più tormentata, arrabbiata, stufa marcia dell’incessante suono delle sirene notturne e degli inevitabili titoli-splatter. Lontani i tempi in cui Ibiza non era questa “cosa”.

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