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Hamas vince solo la guerra sporca dell'informazione

di Mario Sechi domenica 27 luglio 2025

5' di lettura

Israele sta perdendo la guerra sull’ottavo fronte - quello dell’informazione - perché ha scelto una linea perdente fin dall’inizio del conflitto, il 7 ottobre del 2023: non mostrare al mondo quello che Hamas aveva fatto agli ebrei dei kibbutz, ai ragazzi del Nova festival, alle donne, ai bambini, ai vecchi, a ogni essere vivente a cui i terroristi hanno dato la caccia fino al loro annientamento. La scelta di Israele è stata quella di preservare i corpi e le anime dei morti e delle loro famiglie dallo strazio della verità. È una scelta nobile, ma ha lasciato un vuoto gigantesco nella comprensione di questa guerra, della sua ragione esistenziale per Israele.

La strategia israeliana è stata quella di mostrare le immagini di quella orrenda verità solo agli “opinion leader”, sperando che questo potesse bastare a formare una solida consapevolezza sulla minaccia del terrorismo islamista sui 7 fronti della guerra (Gaza, Iran, Yemen, Siria, Cisgiordania, Libano e Iraq). Ho visto quelle immagini, sono l’infinito orrore, ho sempre pensato che debbano essere mostrate al mondo, tutti devono sapere che un altro Olocausto preme ai confini di Israele.

Nell’ottavo fronte della guerra, conta solo quel che vedi e se non vedi l’orrore, non lo riconosci. Hamas predica la violenza, la insegna ai bambini, la inocula come un virus, combattere contro gli ebrei e gli infedeli è la missione, diventare uno “shahid”, un “martire” è l’aspirazione per una beata vita ultraterrena. I piccoli palestinesi vanno alla scuola dell’odio e della morte. È su questa disumanizzazione delle persone che Hamas ha costruito la sua propaganda, la sua arma nell’ottavo fronte: usare i corpi dei palestinesi per mostrificare Israele, facendo leva sul pensiero debole di un’Occidente che non sa riconoscere più il bene e il male, non ha memoria né senso della storia, è privo di intellettuali e leader politici con esperienza della guerra e dei suoi tremendi dilemmi.

La conseguenza di questa propaganda martellante, di questo racconto a reti unificate, di questa “verità” a una dimensione, è che Israele affama i palestinesi nella Striscia di Gaza e ha costruito un «universo concentrazionario» (questa è la formula per dire che è il nuovo nazismo). Non le belve di Hamas, ma Israele è il nemico da abbattere, lo Stato da isolare, gli ebrei sono le SS del nostro tempo. Siamo al rovesciamento della Storia. Nessuno ricorda come è iniziata questa guerra; si parla di «universo concentrazionario» di Israele e non dei tunnel e dei missili di Hamas che ha usato i miliardi di dollari degli aiuti per costruire il suo apparato di terrore e sterminio; dimenticati sono gli ostaggi ebrei ancora nelle mani dei tagliagole, sono un incidente di percorso della “resistenza” dei palestinesi; mentre il lancio dei missili degli islamisti su Israele è “legittima difesa” e i 7 fronti del conflitto sono scomparsi.
C’è una sola guerra, quella della “disinformatia” dove la manipolazione dei fatti è l’arma letale.

Nella guerra delle immagini, in un drammatico testacoda, il Fatto Quotidiano nei giorni scorsi ha pubblicato in prima pagina la foto di un bimbo con un titolo che evocava Primo Levi: «Se questo è un bambino». Usare le parole di un ebreo italiano deportato a Auschwitz nel 1944, cos’altro dobbiamo vedere? Giuseppe Conte, leader del pacifismo parolaio, è saltato addosso come un predatore su quell’immagine per criticare la giusta posizione di Palazzo Chigi sulla questione politica della Palestina («non è ancora il tempo dello Stato palestinese») e accusare Giorgia Meloni «di sudditanza verso il criminale di guerra Netanyahu».

L’odio acceca, la politica dell’opportunismo finisce sempre per cadere. Quel bambino non è a Gaza, Osama Al-Raqab è in Italia dall’11 giugno, è malato di fibrosi cistica e ora sta bene, è curato dai medici italiani per volontà del nostro governo e la sua storia clinica è diversa da come viene presentata dal tribunale dell’orrore mediatico. Non importa più cosa sia vero e falso, conta l’effetto, l’ondata emotiva, la curvatura dello spazio della comunicazione, il suo impatto sui leader delle cancellerie europee e sul dibattito interno delle nostre democrazie assediate dall’ignoranza furiosa dei social media. Macron ha già ceduto alla teoria della resa, si è piegato sperando di incassare i voti degli utili idioti di Hamas. Riconoscere oggi lo Stato palestinese sarebbe la loro più grande vittoria.

La campagna sulla fame nella Striscia è la più insidiosa dall’inizio della guerra, Hamas punta sulla crisi umanitaria per sospendere il conflitto, riorganizzare le sue milizie, riprendere il controllo sull’economia di Gaza e dell’intera Striscia. Il Washington Post ha riportato il 21 luglio scorso che Hamas trae profitto dagli aiuti che ha sottratto e «punta sulla crisi umanitaria per porre fine alla guerra», usa la fame come un’arma per tornare al sistema di distribuzione dell’Onu, il mezzo più veloce per rimetterlo nelle mani di Hamas- che ha i suoi «uomini in tutti i magazzini» dove vengono stoccati gli aiuti.

Hamas con il ritiro di Israele e il ritorno al sistema corrotto delle Nazioni Unite avrebbe in un colpo solo i fucili e il pane, il monopolio della forza e del cibo, il potere di vita e di morte sui palestinesi. L’unica soluzione passa per la collaborazione leale dell’Onu con gli israeliani e gli americani, non ci sono altre vie, l’alternativa è la consegna di Gaza agli aguzzini di Hamas. Non a caso la propaganda si sta facendo sempre più intensa, ieri l’Ufficio governativo per i media che è guidato da Hamas, non da un club di filantropiha affermato che 100 mila bambini di età non superiore ai due anni rischiano di morire entro pochi giorni a causa del «disastro umanitario senza precedenti provocato da Israele». Verifiche sulla bontà di queste informazioni? Zero. Questa “verità” passa nelle televisioni e viene impaginata dalla rotativa unica della carta stampata con il corredo di pensosi commenti, Hamas detta la linea e il giornalismo con la schiena dritta si piega e ringrazia, il bersaglio della cattiva coscienza dell’Occidente che odia l’Occidente è solo uno, Israele. La guerra sull’ottavo fronte è la più lunga, la più dura, la più pericolosa.

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