Persino la croce gli risultava preferibile all’odiatissima stella di David, purché fosse quella uncinata. Il gran muftì di Gerusalemme Amin al-Husseini (1897-1974) non ebbe alcuno scrupolo nel legarsi al carro di Adolf Hitler, perché di scrupoli proprio non ne aveva. È stato la suprema autorità musulmana sunnita, spregiudicato e abile tanto da riuscire a imporsi come guida spirituale, capo politico e capofila della causa araba. Odiatore irriducibile degli ebrei, estese questa dottrina a tutti i non islamici senza eccezioni. Ma poiché i nazisti nella loro Weltanschauung parevano utili alla sua più periferica visione di una Palestina senza infedeli di alcun genere, e poiché il loro odio verso gli ebrei era almeno pari al suo, decise di appoggiarli.
Se Hitler avesse vinto la guerra avrebbe scacciato gli inglesi subentrati agli ottomani alla fine del primo conflitto mondiale, ed eliminato gli ebrei con i metodi che la storia conosce e molti contemporanei hanno dimenticato. Il gran muftì era attivista dei Fratelli musulmani e promotore instancabile della Jihad, nonostante non fosse personalmente né colto in teologia né particolarmente competente, in quanto gli studi erano appena un’infarinatura e non era riuscito a strappare neppure un titolo salvo una qualifica da amministrativo. Ma era furbo, opportunista e cinico, virulento nella sua predicazione ed estremista anche oltre la soglia minima per accendere gli arabi contro il nemico sionista. Funzionava talmente bene che tenne a battesimo la 13. Waffen-Gerbirgs-Division der SS “Handschar”, una delle formazioni combattenti dell’Esercito nero costituite da volontari stranieri. Quelli dell’Handschar venivano dai lembi dell’Europa balcanica finiti sotto i turchi che avevano importato l’Islam. Erano riconoscibili non solo dalle mostrine, ma soprattutto dal fez verde di foggia orientale.
Sia al Terzo Reich, sia all’Italia di Mussolini, uno come Husseini faceva parecchio comodo, e lui lo sapeva. Anzi, l’aveva capito prima di loro. A Hitler si era rivolto appena dopo la vittoria alle elezioni nel gennaio 1933 e la nomina a cancelliere, spedendo da Gerusalemme un telegramma di felicitazioni, modestamente a nome di «tutti i musulmani». Quanto a Mussolini, con le sue poche idee ma confuse sul riassetto mediorientale, sono noti i velleitarismi di brandire la spada dell’Islam su un cavallo bianco per l’ingresso trionfale ad Alessandria d’Egitto. La storia ce l’ha risparmiato. Ma intanto il muftì aveva rimpinguato le casse della causa araba con danaro proveniente da Berlino e da Roma, e tra i tanti utilizzi diversi dallo sviluppo e dalla prosperità degli arabi, lo utilizzava per le sue trame e per pagare i sicari che eliminavano i suoi nemici ebrei. Niente di nuovo sotto il cielo di Palestina.
Quando la Gran Bretagna occupò l’Iraq assieme ai sovietici per tagliare i rifornimenti all’Asse, Husseini ricevette un passaporto diplomatico a nome di Giovanni Rossi (che fantasia...) con cui sbarcò a Bari, dove i fascisti gli tributarono onori e ovazioni. A Roma vide Mussolini il 27 ottobre 1941 ma la Città del Papa e delle chiese lo metteva al disagio e il 28 novembre lo ritroviamo a Berlino; qui, ospite di Hitler, era a suo agio. Il Führer gli offrì un’intera divisione SS, che lui stesso avrebbe reclutato in Jugoslavia nel 1943 tra i musulmani di Bosnia, albanesi e kosovari, e persino con una quota di croati.
In 21mila risposero all’appello. Husseini rivolse a quegli uomini la sua benedizione e li mandò a massacrare il 90% degli ebrei bosniaci. Visto che c’erano, potevano anche bruciare i villaggi degli infedeli serbi, dare alle fiamme le chiese (ortodosse o cattoliche non importava), stuprare e razziare. Ideò di avvelenare l’acquedotto di Tel Aviv per sterminare gli ebrei e alla fine del conflitto, ricercato come criminale di guerra, riuscirà a sottrarsi alla giustizia, celebrato come eroe dal mondo arabo. Nel 1948, convinse ad attaccare il neonato stato di Israele e dovrà riparare in Egitto. Sempre impegnato in intrighi e complotti, come l’omicidio del re di Giordania Abdullah, mai autorizzato a tornare a Gerusalemme, morirà a Beirut nel 1974.