Ma quindi com’è andata sui dazi tra Donald Trump e Ursula von der Leyen? A farla semplice, “quindici” è certamente meglio di “trenta”: un accordo dignitoso è senz’altro preferibile a una stangata totale. “Meglio così che peggio”, potremmo concludere citando un antico adagio. Quanto ai dettagli, ci sarà tempo per esaminarli minuziosamente: era prevedibile la richiesta americana di un massiccio acquisto di energia e armi da parte dell’Europa (oltre che l’impegno a poderosi investimenti), mentre è un peccato che non si sia raggiunta un’intesa migliore su acciaio e alluminio.
Allo stesso modo (a posteriori, non neghiamolo) un purtroppo impossibile “zero” sarebbe stato meglio di “quindici”: i dazi al 15%, comunque uno voglia maneggiare la faccenda, rappresentano infatti una tassa in più verso i contribuenti americani e un ostacolo in più verso le nostre imprese esportatrici. Non una buona notizia per nessuno, anche se ne poteva arrivare una decisamente meno rassicurante.
Dazi, Giorgia Meloni: "Accordo sostenibile, ma c'è ancora da battersi"
“Giudico positivamente il fatto che si sia raggiunto un accordo”. Con queste parole, il premier Giorgia Melo...E tuttavia, la scomoda verità che pochi altri vi racconteranno è che l’Ue ha avuto a disposizione sei lunghi mesi per trattare con Washington, e li ha largamente sciupati. Dall’inizio di questa vertenza, erano infatti possibili due diversi atteggiamenti. Per un verso (scelta saggia ad esempio caldeggiata dal governo italiano), si poteva manifestare disponibilità a trattare, e contestualmente cercare di togliere immediatamente dal tavolo le barriere (tariffarie e non) elevate da anni contro i prodotti americani: un modo per mostrarsi aperti e anche per offrire a Trump una sorta di disarmo bilaterale. Per altro verso (scelta isterica), si poteva – come si è purtroppo lungamente fatto in prima battuta in Ue – far volteggiare nell’aria le parole “bazooka”, “vendetta”, “controdazi”. Gli esiti dei due opposti approcci sono abbastanza facili da giudicare. La Gran Bretagna, dialogante e non aggressiva, ha siglato un buon accordo con gli Usa, il primo grande “deal” concluso dagli Stati Uniti in questa fase. Risultato? Borse su, aziende e consumatori rassicurati, ed effetti positivi per due governi – a Londra e a Washington – di segno politico opposto. Al contrario, l’Ue (fino agli ultimi dieci giorni, quando ha mutato atteggiamento, presentandosi con la coda fra le gambe) ha a lungo continuato a sparare a palle incatenate in modo insensato. Un documento franco-tedesco della scorsa primavera, ad esempio, conteneva una parte apertamente provocatoria verso gli Usa («garantire risposte decise ad azioni avverse che colpiscano l’Europa»).
E a maggio Bruxelles ha addirittura rincarato la dose, minacciando – in caso di mancato accordo – l’imposizione di tariffe aggiuntive sulle importazioni dagli Usa, mettendo nel mirino migliaia di beni di tutti i tipi (auto, aerei, moto, alcoolici, elettrodomestici, prodotti agricoli). Esattamente il contrario di una tattica negoziale conciliante nel metodo e liberale nel merito: in quest’ultimo caso, si sarebbero spazzati via i propri dazi e le proprie barriere, per indurre la controparte a fare altrettanto. E invece no: si è minacciato di fare ancora peggio, innescando una specie di escalation. E, per rendere l’operazione ancora più surreale, nel mega-elenco diffuso dalla Commissione Ue dei prodotti che potevano essere oggetto di ritorsione sono stati inseriti pure gli smartphone: un dito nell’occhio degli Usa e un altro nell’occhio dei consumatori europei.
Use-Ue, dazi al 15%. Auto, agricoltura, energia: i dettagli dell'accordo
A quelli cui piace scommettere dev’essere venuto a noia puntare denari sulle trattative economiche di Donald Trump...Il paradosso è che la sinistra e i suoi giornali (quasi tutti) sollevano invece la contestazione opposta: l’Ue – secondo loro – non sarebbe stata troppo rigida ma troppo molle verso Trump. Secondo questa scuola di pensiero, si sarebbe dovuta scegliere una linea-kamikaze minacciando le società big-tech americane e alimentando ulteriormente la vendetta dei controdazi. Ora, a parte il fatto che per un venditore (noi) aggredire un compratore (gli Usa) è abbastanza masochistico, resta il fatto che in queste partite contano i rapporti di forza reali, non la faccia feroce recitata dagli attori (o dalle comparse). Qualcuno pensa davvero che questa Ue potesse (o possa) andare allo scontro con Washington? La logica della “levata di scudi” anti-americana sarebbe stata (e sarebbe ancora) un suicidio senza neanche il sollievo di un qualche trattamento eutanasico. Dove e come lo sostituisci l’export che attualmente facciamo verso gli Usa?
È abbastanza patetico, infine, il tentativo della sinistra (Elly Schlein in testa) di buttare la croce addosso alla Meloni e al governo italiano, operazione che ieri è ripartita prim’ancora che Trump e von der Leyen si dicessero «buon pomeriggio». Primo: se l’Ue ha salvato il salvabile, lo si deve proprio ai governi (a partire da quello di Roma) che hanno predicato di mantenere la testa fredda. Secondo: a trattare è stata la von der Leyen, sostenuta e coccolata dalla sinistra per sei-sette anni: ora, con una piroetta circense, si tenta di scaricare la tedesca e metterla sul conto politico della Meloni. Il che è francamente ridicolo. Terzo: la prossima volta, per trattare, bisognerà inviare a Washington una delegazione formata da Schlein-Conte-Bonelli-Fratoianni-Magi. Ed effettivamente può darsi che Trump a quel punto si senta male: dalle risate, però.