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Freedom Flottilla, la nave di Greta ci riprova? Sequestrata da Israele

di Daniele Dell'Orco lunedì 28 luglio 2025

3' di lettura

C’è un momento in cui il confine tra attivismo e velleitarismo si fa così sottile da diventare una caricatura. È il caso della Freedom Flotilla, giunta alla sua 37esima “missione” in 18 anni, con la nave Handala che è riuscita a dimostrare il già ovvio teorema di Einstein sulla pazzia: i folli non sono altro che coloro che fanno sempre la stessa cosa aspettandosi esito diverso. Sventolando la bandiera dei diritti umani e imbarcando scatoloni di aiuti umanitari su una barca diretta a Gaza, ventuno attivisti provenienti da 12 Paesi hanno deciso, con la solita enfasi ideologica, di sfidare il blocco navale israeliano. Il risultato? Lo stesso di un mese e mezzo fa quando, a giocare a fare Jack Sparrow, erano stati Greta Thunberg e un pugno di altri ricchi e annoiati attivisti antagonisti a bordo della Madleen: intercettazione da parte della Marina israeliana, sequestro della nave, stato di fermo per l’equipaggio, e inevitabile polemica a base di comunicati indignati e dirette social interrotte.

Stavolta quindi, Freedom Flotilla aveva pure l’aggravante della scarsa fantasia. L’azione, nel migliore dei casi, simbolica e, nel peggiore, una provocazione dal sapore ingenuamente autolesionista, non solo non aiuta il popolo palestinese ma sposta, persino, il riflettore da Gaza all’albero maestro delle imbarcazioni di esaltati.

Israele impone un blocco navale su Gaza da quasi due decenni, con l’avallo, diretto o implicito, della comunità internazionale. Che piaccia o no, tentare di violarlo con una barca carica di cibo e giocattoli equivale a infilarsi volontariamente in un vicolo cieco sperando che le pareti si spostino per magia. E così i nostri, tra cui due italiani, si trovano ora a dover scegliere tra il rientro immediato (firmando una dichiarazione) o qualche giorno in una struttura detentiva israeliana. Uno scenario tragicomicamente evitabile. Forse qualcuno dovrebbe spiegare loro che c’è tutta una parte di mondo impegnata per trovare il modo di aiutare i gazawi e impedire, allo stesso tempo, che ciò possa rafforzare Hamas e quindi peggiorare ulteriormente le cose. Saranno tutti matti? No, è che per profili come i loro per la performance, si sa, conta più del risultato. Esempio: il giornalista antimilitarista Antonio Mazzeo, a bordo della Handala, ha diffuso un video appello dove si autodefinisce «rapito dalle forze di occupazione israeliane». A tratti sembra più preoccupato della sua narrazione personale che dell’effettivo esito della missione. Il dramma nel dramma è che ora i Ministri degli Esteri dei vari Paesi d’origine dei membri dell’equipaggio stanno sottraendo tempo, energie, risorse e finestre di comunicazione con Israele per parlare di loro.

Chi oggi parla di «pirateria israeliana» dovrebbe forse interrogarsi non solo su dove finisca il diritto internazionale, ma su dove cominci la responsabilità individuale di chi cerca guai, consapevole delle conseguenze. E agli attivisti della Freedom Flotilla va detto senza fronzoli: tornate a casa. E fatelo a vostre spese. Non tocca ai contribuenti italiani, né alla Farnesina, né alle ambasciate, rimediare alle scelte scellerate di chi confonde la politica estera con una crociera della retorica. Più che una flotta della libertà, questa era un cabotaggio dell’inconcludenza.

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