La notizia susciterà dei mal di pancia fra i cattocomunisti e nei salotti NoPax del progressismo mediatico. Ma come potranno far finta di nulla? Ieri, all’indomani del primo incontro fra Putin e Trump sull’Ucraina, papa Leone XIV ha dato la sua importante benedizione al tentativo del presidente americano di tessere la tela di una trattativa che possa mettere fine alla sanguinosa guerra in Ucraina. Ecco le sue parole chiare pronunciate all’Angelus: «Preghiamo perché vadano a buon fine gli sforzi per far cessare le guerre e promuovere la pace; affinché, nelle trattative, si ponga sempre al primo posto il bene comune dei popoli».
Il Pontefice fa sapere al mondo che lui, con la preghiera, è vicino a chi prova a far tacere i cannoni. Il riferimento implicito è anzitutto a Trump. Con quelle parole il Papa fa anche capire che accredita il suo tentativo e ritiene possibile che possa andare «a buon fine». Un atteggiamento diametralmente opposto a quello di gran parte dei media e di certe cancellerie europee che, sempre ieri, hanno rovesciato su Trump un fiume di derisione. Secondo costoro l’incontro del 15 agosto in Alaska sarebbe stato un ridicolo fallimento di Trump, una sceneggiata indecente che ha legittimato Putin, una resa davanti al leader russo. Il quotidiano della Cei, Avvenire, del tutto appiattito sulla linea Pd del card. Zuppi, ha fatto il titolo di prima pagina più velenoso: “Il tappeto russo”. E sotto: “Putin esce vincitore dal vertice in Alaska”. Noi, ieri, su queste colonne, abbiamo indicato l’iniziativa di Trump – con i successivi incontri che avverranno in queste ore e nei prossimi giorni – come la letterale realizzazione di quanto Leone XIV aveva auspicato subito dopo la sua elezione: «i nemici si incontrino e si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace. I popoli vogliono la pace e io, col cuore in mano, dico ai responsabili dei popoli: incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo! La guerra non è mai inevitabile». Le parole del Papa all’Angelus di ieri confermano che avevano visto giusto.
E purtroppo abbiamo visto giusto anche nel mettere in guardia dal furore dell’anti-trumpismo che – come ogni odio ideologico – acceca: c’è chi dice di volere la pace, ma vede con orrore che sia Trump a realizzarla e, alla fine, desidera più il fallimento di Trump che la pace. È ovvio – lo insegna la storia – che ogni grande trattato di pace esige tempi lunghi (non è cosa che si risolve in un giorno). Occorre pazienza, disponibilità al compromesso e abilità politica. Se l’episcopato fosse in sintonia con il Papa, oggi, il presidente della Cei Zuppi dovrebbe invitare tutti i suoi confratelli, tutte le diocesi e le parrocchie a seguire subito l’esempio e l’esortazione del Santo Padre: «Preghiamo perché vadano a buon fine gli sforzi per far cessare le guerre e promuovere la pace; affinché, nelle trattative, si ponga sempre al primo posto il bene comune dei popoli». Lo farà? Il pacifismo di Zuppi e compagni è sincero? Raccoglie l’accorato appello del Papa o perde la voce se si tratta di sostenere il presidente Trump e le trattative da lui iniziate? Anche Avvenire dovrebbe capovolgere la sua linea... Non ascoltare Leone XIV in questo caso significa anche tradire l’eredità di papa Francesco. Infatti, com’è noto, la sua angoscia per la guerra in Ucraina era così profonda che lo portò in totale rotta di collisione – su questo – con la presidenza Biden e con i proclami guerreschi dell’Unione europea. Un anno prima della sua morte, il 9 marzo 2024, in una clamorosa intervista alla televisione svizzera, fece dichiarazioni che suscitarono lo scandalo degli illuminati. Gli fu chiesto: «In Ucraina c’è chi chiede il coraggio della resa, della bandiera bianca. Ma altri dicono che così si legittimerebbe il più forte. Cosa pensa?». Lui rispose: «è un’interpretazione. Ma credo che è più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare. E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è una parola coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche paese che faccia da mediatore... Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore». Poi aggiunse: «il negoziato non è mai una resa.
È il coraggio per non portare il paese al suicidio. Gli ucraini, con la storia che hanno, poveretti, gli ucraini al tempo di Stalin quanto hanno sofferto». Il Papa fu accusato di consigliare agli ucraini la resa, ma, in realtà, addolorato per quell’orrendo massacro di giovani, poneva le vite degli uomini al di sopra delle dispute territoriali e mostrava che anche un sano realismo politico induce a preferire il negoziato – pure con rinunce dolorose – alla tragedia di una guerra senza speranza che schiaccia migliaia di vite umane. È, fra l’altro, il realismo politico di chi prende atto che non può vincere e che – come unica alternativa – ha lo scatenamento di una guerra mondiale e nucleare in cui, di nuovo, nessuno sarebbe vincitore, ma tutti perdenti. Papa Francesco aveva davanti agli occhi dei volti di innocenti: «qui vengono spesso a salutarmi i bambini ucraini. Nessuno di loro sorride. E un bambino che non sa sorridere sembra che non abbia futuro. Pensiamo a queste cose per favore. La guerra è sempre una sconfitta, una sconfitta umana, non geografica». Sono gli stessi pensieri e lo stesso dolore (espresso con le stesse parole) da cui è partito Trump per la sua iniziativa di pace. È sorprendente, ma il presidente americano più disprezzato è colui che tenta di realizzare gli accorati inviti e le speranze di due papi: Francesco e Leone XIV.