La presenza in carcere di Nicolas Sarkozy «non è giustificata», perché non sussiste «alcun rischio di occultamento di prove, di pressioni, di collusione». Ieri la Corte d’appello di Parigi ha accolto favorevolmente la richiesta di scarcerazione presentata dagli avvocati dall’ex presidente della Repubblica francese il giorno stesso del suo ingresso alla Santé, lo scorso 21 ottobre.
Dopo venti giorni dietro le sbarre dell’ultimo istituto penitenziario di Parigi, l’ex leader gollista, condannato in primo grado a cinque anni di carcere con esecuzione provvisoria nel quadro dell’affaire sui presunti finanziamenti libici alla sua campagna elettorale del 2007, torna dunque in libertà, seppur vigilata. Sarkozy dovrà infatti rispettare alcune condizioni: non potrà lasciare il territorio francese, incontrare o avere contatti con i protagonisti dell’affaire, testimoni e coimputati, ma nemmeno l’attuale ministro della Giustizia Gérald Darmanin, che lo scorso 29 ottobre gli aveva fatto visita in carcere suscitando un’ondata di indignazione nella magistratura.
«Ora che ho ritrovato la libertà e la mia famiglia, desidero esprimere tutta la mia gratitudine a tutti coloro che mi hanno scritto, sostenuto e difeso. Le migliaia di testimonianze che ho ricevuto mi hanno commosso e mi hanno dato la forza di superare questa prova», ha scritto Sarkozy in un post su X. «La legge è stata applicata. Ora mi preparerò per il processo d’appello. Tutta la mia energia è rivolta al solo obiettivo di dimostrare la mia innocenza. La verità trionferà. È una lezione che la vita ci insegna. Il finale della storia deve ancora essere scritto», ha aggiunto.
L’udienza per la scarcerazione era iniziata attorno alle 9.30. L’ex inquilino dell’Eliseo, accanto al suo avvocato Jean-Michel Darrois, era collegato in videoconferenza dalla Santé. «So che non è questo il luogo per discutere nel merito il mio caso. Ma non ho mai avuto l’idea o la folle intenzione di chiedere denaro al signor Gheddafi. E non confesserò mai qualcosa che non ho fatto. Ho sempre risposto a tutte le convocazioni della giustizia», ha detto l’ex leader gollista, definendo l’esperienza carceraria «molto dura» e ringraziando il personale penitenziario per aver «reso sopportabile questo incubo». In aula, in prima fila, erano presenti i due figli Pierre e Jean, e in abito nero, occhiali scuri e volto teso, la moglie, Carla Bruni. Che è a sua volta sotto inchiesta, sospettata di aver preso parte a un’operazione il cui nome in codice è “Sauver Sarko”: un piano volto a minimizzare le responsabilità dell’ex presidente nell’affaire libico e a evitare che suo marito finisse in prigione.
Carlà è stata accusata di una serie di reati tra cui falsificazione di testimonianze e associazione a delinquere allo scopo di preparare una frode processuale e corruzione del personale giudiziario, e potrebbe essere condannata a una pena detentiva fino a 10 anni se ritenuta colpevole in un processo separato. Ma come il marito, nega qualsiasi illecito.
La procura generale, andando incontro alla richiesta dei suoi legali, aveva chiesto in mattinata di scarcerare Sarkozy precisando che «l’estrema gravità dei fatti e la dimensione della pena» non dovevano influire nella decisione, che doveva essere ispirata «unicamente dai criteri dell’articolo 144 del Codice di procedura penale». Nell’articolo sono elencate le condizioni che, uniche, giustificano la detenzione provvisoria: il rischio di inquinamento delle prove, i contatti con altri imputati, la fuga o la recidiva. Non sussisteva nessuna di queste condizioni per la Corte d’appello, che si è dunque espressa a favore della scarcerazione di Sarkò. Proprio per questo, nella sua famiglia politica, ma non solo, ci si chiede che senso abbia avuto tenere in carcere un ex presidente della Repubblica e presunto innocente per venti giorni.
Nicolas Sarkozy, cibo e terrore: voci-choc, com'è ridotto in carcere
E' un tema che desta timori tra amici, parenti e non solo. Secondo informazioni del settimanale Le Point , l'ex ...«La scarcerazione del presidente Nicolas Sarkozy conferma che l’esecuzione provvisoria pronunciata in primo grado era una misura assolutamente sproporzionata e che era necessario ristabilire un equilibrio, non solo giuridico, ma anche morale e simbolico», ha scritto su X il senatore gollista Stéphane Le Rudulier. Laurent Jacobelli, deputato del Rassemblement national, ha dichiarato che la liberazione di Sarkozy «è una buona notizia perla democrazia», ma anche che «l’esecuzione provvisoria, utilizzata in modo abusivo, ha ricordato quanto la giustizia debba tenersi lontana da qualsiasi considerazione politica»: un’allusione implicita all’attuale alla situazione giudiziaria della leader del partito sovranista, Marine Le Pen, condannata a una pena di ineleggibilità con esecuzione provvisoria che le impedisce, in attesa della sentenza d’appello, di candidarsi all’Eliseo nel 2027.
Il processo d’appello sull’affaire libico è previsto a marzo. Ma Sarkozy, fra due settimane, dovrà già tornare in tribunale. Lo attende infatti la sentenza della Corte di cassazione sul dossier Bygmalion, dal nome della società di eventi e comunicazione che ha sovrafatturato una serie di servizi all’allora Ump (oggi Républicains) per diversi milioni di euro durante la campagna per le presidenziali del 2012, perse contro il socialista François Hollande.




