Parce sepulto. Porta rispetto al morto. Fallo riposando in pace. Ma soprattutto lascia che raggiunga intatto il giorno del giudizio, dove lo attende la speranza della resurrezione. Questo almeno è quel che raccomandano i cristiani. Discorso diverso quando si parla di anima che, per quanto se ne sa, è probabilmente in grado di cavarsela, in un modo o nell'altro, non esistendo o smettendo di esistere nel corpo. E tuttavia, mentre la mèta dell'anima ognuno se la immagina come vuole, quella delle spoglie mortali spesso è diventata oggetto di interessi i più psicologicamente bislacchi, i più perversamente impensabili. Tanto più se il cadavere è quello di un personaggio eccellente. In tal caso, è accaduto che esso diventasse protagonista, suo malgrado, di un destino avventuroso che avrebbe incendiato la fantasia di uno Calvino odi un Molìere.
Se ne parla in questo gustosissimo Avventure postume di personaggi illustri (Sellerio, 175 pagine, 14 euro), sorta di edificante libricino attraverso il quale i due autori, Roberto Alajmo e Marco Carapezza, disvelano dieci casi incredibili in quanto a speciose vicende di corpi di santi, eroi, politici, assassini, capi di Stato, artisti e chi più ne ha, più ne metta. Un destino di uomini che nella vulgata avrebbero dovuto trovare luce pura dopo la morte e che, invece, il post mortem ha dilaniato. Napoleone, per dire. Non troppo tempo dopo aver reso l'anima al Signore, intorno al suo corpo di maschio alfa di un'intera nazione, si scatenò un vero e proprio mercato. Oggetto del desiderio: il suo pene, amputato sul tavolo autoptico da un medico evidentemente in cerca di simboliche rivalse.
Un tentativo di compensazione evidentemente condiviso da tutti quelli che ne provarono di ogni pur di accaparrarsi il bonapartiano “gonfalon selvaggio”. Nel caso di Beethoven, la febbre dei collezionisti di reliquie (perché in fondo di questo si tratta) si concentrò sulla sua capigliatura, quasi che quella foltezza e scompostezza tricologica fossero la rappresentazione icastica del genio musicale del compositore tedesco.
Accadde infatti che, il giorno in cui Ludvig passò a miglior vita, intorno al suo capezzale cominciasse un viavai di ammiratori armati di forbici con le quali tagliare una ciocca della folta chioma dell'illustre trapassato. Il libro di Alajmo e Carapezza, ancorché attraversato da una vena di macabra ironia, è davvero geniale, con punte di divertimento quasi irriverente, visto che di morti si parla. Morti e storie tristi. Come triste fu, per esempio, il destino del cranio del pittore Goya riempito di ceci, frantumato, fatto scoppiare ei resti spartiti tra studenti di frenologia.
Triste di per sé è la storia del corpo di sant'Agata cui non bastò il martirio per smembrarne il corpo. A Luigi Pirandello, per eccesso di paradosso, il post mortem riservò la più pirandelliana delle avventure. Del grande drammaturgo furono celebrati tre funerali e mezzo (era morto il 10 dicembre 1936). Il primo in pompa magna con trasferimento delle sue ceneri al cimitero Verano di Roma. Dal quale torneranno in Sicilia, raccolti in un antico vaso greco custodito in una cassa di legno, dopo un avventuroso viaggio in treno. Ebbene, il racconto di quel viaggio è straordinariamente esilarante (quattro emigrati usarono la cassa come tavolo da gioco per una partitina a carte) come altrettanto divertente è quel che accadde una volta che l'urna toccò le coste della Trinacria.
Il teschio di Cartesio, fatto sparire non si sa come dalla tomba in cui egli giaceva, fu venduto all'asta dei beni di un certo dottor Sparrman in Svezia, paese dove il filosofo si era trasferito chiamato alla corte della illuminata regina Caterina. Quando fu recuperato dai francesi per riportarselo in patria, il cranio si presentava privo di mandibola e istoriato di frasi e di firme. Il filosofo Jeremy Bentham pensò di tutelare il proprio corpo stabilendo per testamento «l'eliminazione integrale della carne, degli organi interni e della pelle, ad eccezione di quella della testa. Si isolava così lo scheletro, da ricoprire con un'imbottitura che riprendesse le forme del defunto».
E che dire delle disavventure cui andarono incontro i cadaveri di Lenin e di Juan Domingo ed Evita Peròn. La moglie del presidente argentino muore nel 1952 in odore di “laica santità”. Il marito vuole imbalsamarla e farne conservare la mummia nel monumento dei descamisados. La caduta del regime, però, fa del corpo di Evita un ostaggio di Stato, sottoposto a un pellegrinaggio in giro per il mondo (fu sepolta a Milano, poi in Spagna, infine in Argentina), finché venne recapitato al marito in esilio. Dal cadavere di Juan Domingo, sepolto al Museo Storico “17 de Octubre”, furono invece amputate le mani con una sega elettrica. Ben altra sorte spettò a Lenin, la cui salma imbalsamata è, com'è noto, esposta nel mausoleo della Piazza Rossa. Il cervello del capo della Rivoluzione bolscevica fu, invece, asportato per essere studiato, il resto del corpo si disfece un poco a poco mentre la moglie si opponeva all'imbalsamazione ei compagni di partito, capitanati da Stalin, creavano una commissione che discuteva la questione per mesi e mesi...