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Attentato a Bondi Beach, pure l'Australia scelse di tenersi il terrorista

di Amedeo Ardenzamartedì 16 dicembre 2025
Attentato a Bondi Beach, pure l'Australia scelse di tenersi il terrorista

3' di lettura

I due terroristi di Bondi Beach, il 50enne Sajid Akram e il figlio 24enne Naveed, avevano giurato fedeltà all’Isis. A differenza però di altri attentatori fedeli allo Stato islamico, i due uomini di origine pachistana non avevano prestato giuramento alle nere insegne dell’Isis subito prima di entrare in azione ma già nel lontano 2019 quando a guidare lo Stato islamico c’era ancora il califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Eppure, la reazione del governo di Canberra al secondo peggior atto di terrorismo nei 124 anni di storia del Commonwealth dell’Australia ricorda quella seguita al Massacro di Port Arthur: era il 28 aprile del 1996 quando il 29enne Martin Bryant uccise a colpi d’arma da fuoco 35 persone e ne ferì altre 23 nell’ex colonia penale dello stato insulare della Tasmania. L’allora primo ministro, il liberale John Howard, reagì con una stretta alle leggi sul porto d’armi nel paese.

E ieri il premier laburista Anthony Albanese si è mosso nella stessa direzione annunciando l’introduzione di controlli più rigorosi dei precedenti penali di chi chiede il porto d’armi, il divieto agli stranieri di ottenere licenze per armi da fuoco e l’ulteriore limitazione sui tipi di armi disponibili. Tutto molto sensato, tanto più se si considera che gli Akram erano armati fino ai denti quando hanno compiuto il loro massacro di ebrei – fra le vittime quali una bambina di 10 anni e un ex deportato di 87.

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Quello che però il governo Albanese non fa è affrontare il nodo jihadista, ma ieri la stampa e l’opposizione glielo hanno fatto abbondantemente notare. Perché Naveed Akram non era un sorvegliato speciale se già conosciuto come sostenitore dell’Isis? La risposta è arrivata dallo stesso premier secondo cui il giovane Akram, ricoverato in coma all’ospedale, era finito nel mirino dei servizi australiani (Asio) per sei mesi salvo poi essere considerato «non una minaccia». Quanto a suo padre Sajid, ha spiegato ieri Mal Lanyon, capo della polizia del Nuovo Galles del Sud, «aveva il porto d’armi da dieci anni e non c’era mai stato un incidente».

E mentre abcnews ha intervistato i vicini di casa degli attentatori secondo cui gli Akram «sembravano persone del tutto normali», l’ex premier liberale Tony Abbott (2013-2015) ha sparato ad alzo zero contro il governo Albanese: «Quando tolleri i pensieri di odio, prima o poi avrai azioni piene di odio», per cui quanto successo a Bondi Beach «è la conseguenza di due anni di discorsi di odio contro gli ebrei australiani». Abbott ha accusato i laburisti di occuparsi solo di welfare quando dovrebbero invece «espellere diversi predicatori di odio che hanno pronunciato sermoni antiebraici dopo il 7 ottobre 2023 al pari di quelli che si macchiano di comportamenti antisemiti». Uno su tutti, l’imam Ahmad Zoud della moschea Masjid as-Sunnah-Lakemba, a mezzora d’auto da Bondi Beach, che due anni fa definì gli ebrei «mostri assetati di sangue senza alcuna misericordia nel cuore».

In un’Australia percorsa da due anni di antisemitismo galoppante, risuonano anche le parole di Greg Craven, ex professore di diritto costituzionale e già vicerettore della Australian Catholic University. Incaricato dalla commissaria contro l’antisemitismo del governo, Jillian Segal, di “prendere il polso” al sistema dei college del paese, Craven, riferisce The Australian, ha affermato che le università sono state «moralmente complici» del crescente clima di odio antiebraico e che il tentativo di sradicare l’antisemitismo dai campus è stato «uno dei più grandi fallimenti delle università australiane nella loro storia». L’accusa agli atenei è di ignavia: «Le università, non riuscendo a prendere posizione» contro le occupazioni dei campus, le proteste violente, le ingerenze nei confronti degli ebrei, «sono state moralmente complici contribuendo a sdoganare l’antisemitismo».

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Ieri Albanese ha provato a schivare le critiche del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu secondo cui il riconoscimento australiano della Palestina durante la guerra seguita al 7 ottobre è stato un regalo a Hamas. «Tutto il mondo», ha replicato Albanese, «crede alla soluzione a due stati». Ed è tornato a promettere che farà di tutto per proteggere gli ebrei. Lo scorso anno, scrive però ancora The Australian, i vertici della polizia hanno lamentato «la grave carenza di personale» che rende impossibile tenere traccia dei sospetti terroristi. A ogni modo gli Akram non erano su quella lista.

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