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Pena di morte. Ci sono dei segnali positivi

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Il rapporto 2010 di "Nessuno tocchi Caino" certifica un calo di condannati. Ma la Cina resta maglia nera

Roberto Amaglio
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È recentemente diventata l'economia numero 2 del pianeta, scavalcando quella giapponese. Tuttavia, la Cina dimostra ancora una volta la sua arretratezza per quanto concerne i diritti umani. Il rapporto 2010 di "Nessuno tocchi Caino" sulla pena di morte nel mondo, infatti, regala alla potenza asiatica il triste primato del numero di esecuzioni nel 2009. Delle 5679 persone finite sotto la scure del boia, infatti, ben l'88% sono avvenute in Cina. Segnali positivi – Nonostante il colosso cinese sembra non volerci sentire da quell'orecchio, il rapporto curato dall'associazione nata a Bruxelles nel 1993 e presentato sabato 31 luglio a Roma presso la sede del Partito Radicale, fornisce qualche timido ma indicativo segnale positivo. Per quanto ci sia ancora molto da fare, rispetto al recente passato le vittime sono diminuite: si va dai 5851 giustiziati del 2007, ai 5735 del 2008, ai 5679 del 2009. Scenario più confortante anche per quel che concerne il numero degli stati che contemplano nelle loro legislazioni la pena capitale: nel 2009 sono 43, rispetto ai 48 dell'anno precedente. Dittature – Ovviamente, lo studio curato da Elisabetta Zamparutti testimonia come siano i Paesi dittatoriali a confermarsi i più attivi nell'applicare le condanne capitali. Dei 43 Paesi che hanno mantenuto a pena di morte, 36 sono Paesi illiberali, e in 15 di questi, nel 2009, le esecuzioni sono state circa 5.619, il 99% del totale. A livello di singoli Stati, il boia più prolifico è quello cinese, con circa 5mila esecuzioni, seguito da Iran, con 402, e dall'Iraq, con almeno 77. Spicca come, lo scorso anno, almeno 607 persone sono state giustiziate in Paesi dove è in vigore la Sharia. Africa promossa – Estremamente confortante la fotografia dell'Africa: nel 2009, il boia ha "lavorato" solo in 4 Paesi (uno in meno, la Somalia, rispetto al 2008); inoltre esistono nel Continente nero alcune figure come Jean Ping (non a caso premiato come "Abolizionista dell'anno 2010") che, come ex ministro degli Esteri del Gabon, ha fatto approvare e presentare in Parlamento la proposta di abolizione della pena capitale nel Paese e si è distinto tra i cosponsor e protagonisti della battaglia all'Onu che ha portato nel dicembre del 2007 al successo della risoluzione sulla Moratoria universale delle esecuzioni capitali. E in Italia la battaglia dell'associazione di Bruxelles è stata fatta propria da tutte le autorità civili, una su tutte quella del capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Inviando un messaggio alla presentazione del dossier, il titolare del Quirinale ha sostenuto come "l'abolizione internazionale della pena di morte sia un traguardo di civiltà giuridica, a favore del quale l'Italia coerentemente opera in ogni foro". Sulla stessa lunghezza d'onda, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che, in una nota, ha sottolineato come la "pena di morte alimenti una logica di violenza e di sopraffazione che getta un'ombra sulla coscienza dell'intera collettività umana e sul progresso civile, morale e giuridico".

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