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Green Pass, Pietro Senaldi: l'Italia segue la scienza e l'Europa fa solo caos, cosa non torna

 Green pass

Pietro Senaldi
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Non incasiniamoci sul Green pass o siamo fritti. Ieri si è registrato il record di contagiati del 2021, 30.798 in un giorno, ma i morti sono stati 153, mentre l'anno scorso di questi tempi erano quattro volte tanto. Ciononostante, i cacadubbi di professione sostengono che il picco di positivi sia la prova che i vaccini non funzionano e il certificato verde è inutile. In realtà è tutto l'opposto, visto che il confronto anno su anno non ha senso, poiché al 21 dicembre 2020 già da due mesi l'Italia era in lockdown, scuole e centri sportivi erano chiusi e si lavorava da casa, mentre oggi il 90% degli italiani vive senza limitazioni. Significa che le iniezioni sono servite e con esse il Green pass, che ha avuto la duplice funzione di spingere molti a farsi fare la puntura e di escludere chi non lo ha fatto dai luoghi dove il contagio corre più veloce. Sono realtà innegabili, non fosse che la comunicazione del governo in questi mesi ha difettato non poco. Poiché l'obiettivo era immunizzare tutti, troppo a lungo il vaccino è stato fatto passare come una pozione miracolosa che avrebbe protetto qualsiasi individuo anziché come un'arma decisiva contro il virus. Le bugie hanno le gambe corte e ora i profeti No vax hanno quattro frasi alle quali appigliarsi per sabotare la profilassi collettiva. Il fatto poi che il nostro governo consideri, in caso di eventi con grande assembramento, di imporre il tampone anche a chi ha il certificato verde, permette ai professionisti dei ragionamenti di corto raggio e a contrario di sostenere che il Pass non serve a nulla contro il contagio. Colpa di Speranza e dei suoi professori, che solo un mese fa affermavano che il tampone gratuito sarebbe stato controproducente, in quanto avrebbe agito come incentivo a non vaccinarsi, mentre oggi valutano di imporlo anche agli immunizzati.

 

 

 

BASTA GUARDARE INDIETRO

Al punto in cui siamo, occorre smettere di guardarsi indietro, non temere di essere colti in contraddizione e pensare solo a salvare la pelle e l'economia. Questo significa parlare chiaro, non spararla grossa per ottenere un risultato e smettere di trattare i cittadini come degli infanti. Anche perché gli elettori, che affollano i centri vaccinali al ritmo di mezzo milione di persone al giorno, sembrano molto più maturi di chi li guida alternando terrorismo a toni materni. E' auspicabile che domani, nell'illustrare le misure anti-Covid prenatalizie, il premier Draghi dica chiaramente quante probabilità in meno ha di morire un vaccinato rispetto a chi non lo è e se è vero che ormai i decessi degli immunizzati riguardano quasi esclusivamente persone che hanno una condizione clinica di partenza già compromessa. Meglio poi se rinunciasse a frasi a effetto ma divisive tipo che «l'invito a non vaccinarsi è un invito a morire» a favore di pedanti spiegazioni sull'effettiva durata del siero e sul perché chiedere il tampone ai vaccinati è una precauzione in più in una stagione, come quella natalizia, di freddo e frequenti e numerosi contatti con gente che non si vede sempre e non una sconfessione di Pfizer e Moderna.

RAZIONALITÀ

Il dramma è che quando l'Italia si mette di buzzo buono e agisce con razionalità, ci pensa l'Europa a creare problemi, ostinandosi a non dare segni di unità né di sensatezza. Se è comprensibile che ciascun Paese abbia norme proprie sulle limitazioni all'ingresso alle frontiere e restrizioni alla vita sociale dei propri cittadini, visto che le situazioni del contagio variano parecchio da nazione a nazione, è meno giustificabile che Bruxelles deroghi alle leggi di uno Stato in barba ai risultati scientifici. Abbiamo imparato a nostre spese che la scienza non è una dottrina certa e le sue verità possono cambiare con il tempo; proprio per questo, quando capita che siano tutti d'accordo su un'evidenza, converrebbe uniformarsi. Invece no, neppure se la questione in gioco è di vitale importanza. Il punto dolente come sempre è il Green pass, stavolta in particolare per quanto attiene alla sua durata. L'Italia ha chiesto per mesi che l'efficacia del certificato fosse abbassata da dodici a nove mesi e fino a ieri è stata puntualmente ignorata. Ora che anche i sassi sanno che i vaccini dopo cinque mesi perdono buona parte della loro capacità protettiva e che dopo sette essa è ridotta al lumicino, forse già da domani il nostro Paese ridurrà a sei-sette mesi la validità del Pass. E l'Unione Europea che fa? Accoglie la richiesta italiana dei nove mesi, tanto per ritrovarsi nuovamente fuori tempo rispetto alla realtà.

 

 

 

DIALOGO TRA SORDI

E' la replica del dialogo tra sordi avvenuto la settimana scorsa, quando Draghi stabilì l'obbligo di tampone per chi entrava nel nostro Paese, anche se vaccinato, aggiungendo per i non immunizzati cinque giorni di quarantena. Allora fummo criticati, la Francia, che solo due settimane fa firmò a Roma un accordo di collaborazione bilaterale con noi, ci disse a brutto muso che avrebbe ignorato la nostra legge, ma già oggi altri sette Paesi - Portogallo, Svezia, Grecia, Cipro, Austria, Irlanda e Lettonia - hanno adottato la soluzione italiana. A pensare male si fa peccato, ma il ministro del Turismo, Garavaglia, un paio di giorni fa ha confidato a Libero che in tema di Green Pass e tamponi l'Europa deve avere un'unica regola, altrimenti gli Stati si fanno concorrenza sleale per le vacanze di Natale e a guadagnarci di più è il più spregiudicato. Il fatto che la Ue ignori la scienza sulla durata del certificato verde potrebbe essere la prova che il nostro governante ci ha azzeccato. L'alternativa sarebbe ancora peggio, perché significherebbe che dopo quasi due anni Bruxelles sul virus si muove ancora a tentoni. 

 

 

 

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