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Meloni, l'asse che può stravolgere l'Europa: "Ecco gli interessi in gioco"

Fausto Carioti
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L'interesse è reciproco. Giorgia Meloni ha bisogno di costruire un buon rapporto con le istituzioni europee e chi le regge, perché all'Italia servono i soldi per finanziare le opere previste nel Pnrr, l'introduzione di un tetto efficace al prezzo del gas, un accordo per la condivisione degli immigrati dall'Africa e altre cose che senza la collaborazione di Bruxelles sarebbero impossibili. Anche le traballanti istituzioni dell'Unione, i loro vertici e i governi che si proclamano europeisti, però, hanno una forte convenienza a "tenere dentro" l'Italia e il suo esecutivo a trazione meloniana. Per almeno tre buone ragioni. La prima riguarda gli Stati su cui poggia la costruzione europea. L'Italia è un Paese fondatore dell'Unione e ha un peso economico e una popolazione importanti: averla dalla propria parte può essere utile a molti. In particolare alla Francia di Emmanuel Macron, ora che l'asse franco-tedesco è in crisi.

 

 

Il cancelliere socialista Olaf Scholz ha deciso infatti che la Germania può difendere meglio i propri interessi in materia di acquisto del gas e dinanzi all'espansionismo economico cinese da sola, senza la "zavorra"della Ue e degli altri Stati. Lussi che Berlino si può permettere, Parigi no. Per frenare Scholz, Macron ha bisogno di alleati, e la Meloni è il migliore che può trovare. La seconda ragione per cui un'intesa è nell'interesse di chi tiene alle istituzioni europee è la crisi di legittimità di queste ultime. Quello guidato dalla presidente di Fdi è il primo governo italiano con un premier scelto dagli elettori dopo undici anni. Emarginarlo, o costringerlo addirittura all'ostilità, sarebbe la prova definitiva che a Bruxelles le decisioni dei popoli contano zero. Regalerebbe anche un ottimo argomento elettorale a Marine Le Pen e al suo Rassemblement National, visti come un pericolo molto più grave.

Così, lassù, sta crescendo la consapevolezza che trovare un modus vivendi con la conservatrice Meloni sia il male minore, necessario se non si vuole fare un altro favore ai sovranisti, francesi e non solo.

 

 

La terza ragione riguarda le alleanze e le ambizioni di quello che negli ultimi decenni è stato il più importante partito europeo: il Ppe, cui appartengono la presidente della commissione, Ursula von der Leyen, e Roberta Metsola, presidente del parlamento Ue. Il Partito popolare è una stella in declino: tra i suoi membri, oggi, non ci sono i capi dei governi di Stati come Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Polonia e ovviamente Italia. Motivo per cui una parte del Ppe, guidata dal tedesco Manfred Weber, vorrebbe trovare il modo di stringere un "patto di affiliazione" con Fratelli d'Italia, che in futuro potrebbe sfociare in un vero e proprio ingresso di Fdi nel gruppo dei popolari. Strada complicata, che la Meloni, leader dell'Ecr, il Partito dei conservatori e riformisti europei, oggi non intende percorrere. I rapporti tra lei e Weber sono comunque ottimi, grazie al lavoro svolto da Raffaele Fitto. Al punto che Weber si è dato da fare per prepararle il terreno in vista dell'incontro di ieri con la von der Leyen. Un aiuto interessato, ovviamente. Nel 2024, eletto il prossimo europarlamento, se i numeri lo consentiranno Weber ed altri popolari non escludono di dar vita ad una commissione Ue sorretta dal Ppe assieme ai conservatori, ma senza i socialisti. Ipotesi che la Meloni e i suoi alleati dell'Ecr giudicano allettante, per quanto ardita. Significherebbe farli entrare nelle stanze del potere dell'Unione europea, che diventerebbe qualcosa di molto diverso da ciò che vogliono farne il Pd e le altre sigle della sinistra continentale. 

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