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Giorgia Meloni-Marine Le Pen, asse per rivoluzionare l'Ue: cosa c'è dietro la nuova intesa

Carlo Nicolato
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Che cos’hanno in comune Giorgia Meloni e Marine Le Pen, oltre al fatto di essere donne? Entrambe sono di destra, l’una è presidente del Consiglio in Italia, l’altra punta a diventare presidente della Repubblica in Francia, e probabilmente non è mai stata così vicino a esserlo. Entrambe «hanno a cuore la libertà», quella dei «popoli che vivono in Europa», ha detto a Madrid la stessa Le Pen che perla prima volta guarda direttamente in faccia a quella naturale alleanza, per storia e punti in comune e ispirazioni, perfino più autentica di quella che unisce la francese alla Lega di Salvini. Una connessione mai avvenuta più che altro per questioni tattiche, più o meno le stesse che dividono all’Europarlamento i due gruppi conservatori dell’Ecr (Conservatori e riformisti europei), quello della Meloni, e di Id (Identità e Democrazia), quello di Le Pen e Salvini. E che, come ha detto Jean-Paul Garraud, capogruppo all’Eurocamera del Rassemblement National, fanno «perdere d’impatto all’onda delle destre».

Di mezzo soprattutto c’è un’altra donna, un altro esponente del mondo conservatore, ma più al centro, che teoricamente dovrebbe opporsi in blocco a quello delle variegate sinistre che in Unione Europea comandano senza quasi vincere mai; di mezzo c’è Ursula Von Der Leyen, la presidente della Commissione che si è candidata tra le file del Ppe per un nuovo mandato. Il buon rapporto tra quest’ultima e la premier italiana non è un segreto per nessuno, così come non lo è il pessimo (o per meglio dire “il nullo”) che intercorre tra lei e la leader di Rassemblement National. Nel discorso in cui annunciava di voler presiedere l’esecutivo europeo per altri 5 anni la Von der Leyen ha sottolineato che la sua intenzione è quella di continuare a lavorare «con i partiti pro-Ue, pro-Nato, pro-Ucraina», «con coloro che chiaramente supportano i valori dell’Ue, con chi difende la democrazia, con chi difende i nostri valori nei confronti degli amici di Putin», escludendo invece a priori qualsiasi rapporto con quelli che precedentemente aveva addirittura definito «i nemici dell’Europa».

 

 

 

In un unico calderone la Von der Leyen inserisce Putin, l’AfD, Marine Le Pen e Wilders, ma non ovviamente la Meloni che rientra piuttosto nella prima categoria (e che serve, nello schema Ppe, a dividere e disinniescare i conservatori). Questo dunque il muro principale che divide la Le Pen dalla Meloni. Marine è stata chiara, solo a marzo con un videomessaggio trasmesso alla convention di Id organizzata dalla Lega si era rivolta direttamente alla collega italiana chiedendole se avesse sostenuto o meno un secondo mandato della «signora Von Der Leyen» e si era anche risposta di credere che fosse proprio così. «E così contribuirà ad aggravare le politiche di cui tanto soffrono i popoli d’Europa» aveva aggiunto.

Ma ieri i toni hanno preso un’altra direzione, lasciando intendere che la strada da prendere è proprio quella dettata dalla Meloni che nel suo stesso intervento di Madrid alla platea di Vox ha sottolineato che «per la prima volta» il risultato delle elezioni europee «potrebbe porre fine a maggioranze innaturali e controproducenti». «È ora di alzare la posta» ha detto Giorgia aprendo anche lei all’alleanza più naturale di tutte, Ecr e Id, ma anche a quella con il Ppe della Von der Leyen. Un fronte di destra e tutto femminile, con buona pace della sinistra che non ha mai contato su un capo di Stato donna in nessuno dei primi quattro Paesi Ue (cinque se si considera fino al 2016 anche la Gran Bretagna).

 

 

 

Un’intesa possibile? Von der Leyen l’ha esclusa, Antonio Tajani è stato perfino più duro, il leader tedesco del Ppe Manfred Weber considera Rassemblement National addirittura un «nemico» contro cui combattere, al pari dell’Afd, ma se mai la Le Pen dovesse andare al governo nel suo Paese, allora tutti dovranno bussare alla sua porta. Come già dovranno fare a quella di Wilders che ha vinto le elezioni in Olanda e sta finalmente formando un nuovo governo. L’alternativa è quella di continuare a reggere il moccolo a un’Europa che non rappresenta più gli europei, rafforzando di conseguenza la destra esclusa da una sorta di arco costituzionale (o «schema Mitterand», come lo chiamerebbero in Francia), compresi quelli che loro chiamano gli «amici di Putin».

 

 

 

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