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Elly Schlein e il Pd in Europa si muovono contro l'Italia

Fausto Carioti
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Per capire il gioco di Elly Schlein bisogna fare un passo indietro di quasi cinque anni. Il secondo governo Conte, quello giallorosso, si era insediato da meno di un mese. Roberto Gualtieri all’Economia, Vincenzo Amendola agli Affari europei, eccetera. Poche settimane prima, quando Paolo Gentiloni, presidente del Pd, era stato indicato dal nuovo esecutivo come candidato italiano alla commissione Ue, Giorgia Meloni aveva commentato: «Da patrioti siamo felici che all’Italia sia stato assegnato un portafoglio importante come gli Affari economici e monetari. 

Peccato che a ricoprire un incarico del genere sia stato chiamato un politico che gli italiani hanno bocciato, hanno mandato a casa e che il M5S ha fatto rientrare dalla finestra grazie al patto della poltrona con il Pd». Le parole decisive erano le prime, e infatti il 3 ottobre, a Bruxelles, gli eurodeputati di Fratelli d’Italia e di Ecr, il gruppo dei Conservatori al quale Fdi appartiene, votarono in favore della nomina dell’italiano. Solo la sinistra estrema e la destra di Identità e democrazia, il gruppo della Lega, si espressero contro. Quando Meloni rivendica di avere sempre anteposto «l’interesse della nazione a quello di parte e di partito», si riferisce anche a episodi come questo.

Dopo un lustro, i ruoli sono invertiti. Il Pd è all’opposizione, Fdi governa col resto del centrodestra. Oggi come allora spetta al governo indicare il nome del commissario italiano. Il prescelto è Raffaele Fitto, uno che a Bruxelles conosce tutti, che quel giorno votò per Gentiloni e del quale nemmeno gli avversari riescono a parlare male (Matteo Renzi, ieri: «Fitto è bravo anche se non è dei nostri»). Per il 55enne salentino si parla di una delega importante abbinata ad una vicepresidenza della commissione, per di più «esecutiva», che gli consentirebbe quindi di coordinare il lavoro di altri commissari ed avere una direzione generale sotto di sé. Gentiloni, per capirsi, è commissario “semplice”, e sopra ha il vicepresidente esecutivo Valdis Dombrovskis. Andasse in porto l’operazione Fitto, l’Italia occuperebbe, per i prossimi cinque anni, una delle poche caselle davvero importanti.

 

L’ESAME
Tutto, però, dipenderà dal consenso politico che ottengono i candidati. Anche Fitto, come Gentiloni all’epoca, sarà sottoposto all’esame degli eurodeputati, senza la cui “fiducia” non otterrà l’incarico. È qui che entra in ballo Schlein: che farà il Partito democratico? Darà il proprio contributo per assegnare all’Italia una poltrona dipeso o remerà contro per provare a fare uno sgarbo al governo, sperando di ricompattare, assieme ai liberali di Renew Europe e alle altre sigle progressiste, quel “cordone sanitario” contro tutto ciò che è a destra dei Popolari europei, incluso l’ex democristiano Fitto? Metterà prima l’interesse nazionale, come fece Meloni, o l’interesse di parte?

Ieri la segretaria del Pd era al forum di Cernobbio, e la domanda è stata inevitabile. La sua risposta è quella di chi sta preparando il terreno per votare «no». Dice: «Dobbiamo valutare quale sarà il portafoglio e quali le deleghe. Abbiamo già chiesto al governo, intanto, di chiarire chi seguirà, e come, i dossier del ministro Fitto, perché sono rilevantissimi per l’Italia: attuazione del Pnrr, fondi di coesione, programmazione».

Così la leader del primo partito d’opposizione lega il giudizio sul candidato italiano per la commissione a quello sul nome di chi dovrebbe sostituirlo come ministro, e siccome il prescelto sarà uno di Fdi, sarà facile, per lei, schierarsi contro. Persino Renzi, che in questa fase fa il pasdaran antigovernativo per riaccreditarsi a sinistra, le dà una lezione: «Io non sono anti-italiano, prima il Paese e poi la ditta». Naturale la reazione di Fdi, affidata a Carlo Fidanza, capodelegazione al parlamento europeo: «Non riescono a tifare per l’Italia, è più forte di loro».

 

LA MANO DI MACRON
Ma l’appartenenza di Schlein, più che alla nazione italiana, è all’internazionale socialista. Il legame ideologico viene prima di ogni altra cosa, figuriamoci di un ideale obsoleto come quello di patria. I Socialisti europei, la famiglia del Pd, non hanno ancora preso una posizione ufficiale, aspettano che Ursula von der Leyen scopra tutte le carte, ma nei giorni scorsi un portavoce ha fatto sapere alla testata Politico.eu che i loro eletti «non saranno contenti di avere nella prossima commissione un vicepresidente che sia membro dell’Ecr». È stata già chiarissima, invece, la francese Valérie Hayer, capogruppo di Renew Europe e vicina ad Emmanuel Macron, avvertendo von der Leyen che la nomina di un esponente di Fdi in quel ruolo sarebbe «inaccettabile».

Aria di agguato, dunque. Ma se lo faranno dovranno organizzarlo molto bene. Perché i Popolari, ai quali appartiene Forza Italia, voteranno in favore di Fitto, e lo stesso faranno i partiti a destra dei Conservatori e di Fdi. «Conosco Fitto ed è un uomo eccezionale», ha detto a Cernobbio Viktor Orbán, premier ungherese e leader del gruppo dei Patrioti per l’Europa. E tutte le sigle di sinistra, assieme a Renew Europe, non hanno i numeri per bocciare la nomina. Tirando dritta con i suoi propositi anti-italiani, insomma, Schlein rischia di perdere la partita sul candidato di Fdi e di dimostrare subito, platealmente, che in questa legislatura la sinistra non è determinante e che il Ppe ha un altro “forno”, alla sua destra, pronto a mandarla in minoranza. Da pensarci bene, allora.

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