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L'Ue detta cinque condizioni per trattare con i russi. Ma Meloni ha molti dubbi

di Fausto Carioti venerdì 7 marzo 2025

4' di lettura

«Se non avessimo sostenuto l’Ucraina adesso non parleremmo di pace». E la migliore garanzia che si può dare ora a Kiev è «estendere l’articolo 5 della Nato», quello che farebbe scattare l’intervento degli alleati in caso di aggressione russa. A fianco degli americani, quindi. «Sarebbe una soluzione duratura». Giorgia Meloni lo ha detto ai suoi colleghi e lo ripete ai giornalisti in tarda serata, a margine del vertice straordinario dei Ventisette che si è tenuto a Bruxelles. Non è la sola a pensarla così. L’Unione è ancora dalla parte di Volodymyr Zelesky, pure ieri ospite del Consiglio Ue, e si prepara a supportare l’Ucraina, anche militarmente, finché sarà necessario. È quello che afferma la dichiarazione finale del summit, in cui si elencano le cinque condizioni necessarie perla pace: niente negoziati sull’Ucraina senza l’Ucraina; niente negoziati senza l’Europa; tregua o cessate il fuoco solo come avvio di un accordo di pace globale; «solide e credibili» garanzie di sicurezza per l’Ucraina, in grado di scoraggiare future aggressioni russe; rispetto dell’indipendenza, della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina.

Mentre i leader dei Paesi Ue limavano questo testo, il premier britannico Keir Starmer ha continuato a lavorare alla coalizione dei «volenterosi per l’Ucraina», cui dovrebbero aderire i Paesi- una ventina - disposti a impegnarsi di più, anche dal punto di vista militare. I responsabili dei loro eserciti si riuniranno l’11 marzo a Parigi, l’Italia parteciperà come osservatore. Ancora ieri, Meloni ha bocciato l’ipotesi di inviare soldati italiani: «Non la considero particolarmente efficace, la considero anche molto complessa».

Viktor Orbán è l’eccezione. Il premier ungherese non ha voluto sottoscrivere la parte della dichiarazione in cui i leader confermano il loro supporto all’Ucraina. Una defezione prevista, che ha permesso agli altri ventisei capi di Stato e di governo di formulare un testo più “robusto”, non essendo necessario raggiungere un compromesso con il capo del governo di Budapest. È andata meglio con Orbán sull’altro argomento di cui ha discusso il Consiglio: gli investimenti per la difesa. Indipendentemente dall’Ucraina, infatti, bisognerà aumentare la spesa militare, come Donald Trump ha chiesto di fare ai membri europei della Nato. La parte della dichiarazione in cui si conferma questa volontà è stata sottoscritta all’unanimità. Il criterio con cui aumentare gli investimenti per la difesa è l’argomento su cui Giorgia Meloni ha più discusso con gli altri leader. Ai quali ha illustrato la posizione italiana, spiegata poi ai giornalisti e riassumibile in quattro punti.

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Primo: il nome scelto da Ursula von der Leyen per il progetto di difesa dell’Europa, «ReArm Europe», è sbagliato: «Stiamo dando messaggi non chiari ai cittadini». La dimensione della difesa e della sicurezza, ha commentato, va molto oltre il «riarmo» e comprende, tra le altre cose, la cybersicurezza, le infrastrutture strategiche e il settore ricerca e sviluppo. Secondo: Meloni è contraria ad aumentare la spesa militare attingendo ai fondi di coesione, possibilità che è stata prevista da von der Leyen. Il governo di Roma, in ogni caso, non lo farà: «Proporrò al parlamento di chiarire sin da subito che l’Italia non intende dirottare fondi di coesione sugli acquisti di armi». Terzo punto: bene che sia stata accolta la proposta italiana di escludere gli investimenti per la difesa dal calcolo del rapporto deficit/Pil, ma si deve fare di più.

Intanto, ciò che viene fatto per le spese per la difesa dovrebbe essere fatto anche per gli investimenti in altri «beni pubblici europei», come quelli per la competitività. E poi, spiega la premier, «quando nazioni come la nostra si approcciano alla materia del debito ci sono rischi che vanno tenuti in considerazione». Per questo il governo sta pensando a strumenti di garanzie europee sul modello di Invest Eu, il programma per il rilancio degli investimenti privati nella Ue. Un’ipotesi tutta da costruire: nei prossimi giorni Giancarlo Giorgetti presenterà una proposta ai ministri dell’Economia dei Paesi Ue. Infine (quarto punto), il capo del governo italiano ha insistito sull’importanza che tutti i fondi per la difesa europea siano destinati alle voci più importanti, quelle che rientrano nel calcolo delle spese militari in ambito Nato, che secondo le linee guida dell’alleanza devono essere pari almeno al 2% del Pil (anche se Trump ha avvertito che gli Stati europei dovranno fare molto di più).

È stato anche il vertice in cui la Germania ha aperto all’ipotesi di allentare i vincoli di bilancio Ue, senza escludere una revisione organica del Patto di stabilità. Berlino si era sempre detta contraria, ma anche lì, adesso, è tempo di vacche magre, e la Cdu del probabile futuro cancelliere Friedrich Merz e la Spd di Olaf Scholz si sono accordate per cambiare linea. Lasciando così i governi “rigoristi” di Austria, Olanda e Svezia privi del loro alleato più importante. Una crepa in cui Meloni ha pensato bene di infilarsi, appoggiando subito la richiesta tedesca.

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