Ci sono volute 16 ore perché il Consiglio mantenesse la parola, ovvero concordasse un prestito di 90 miliardi all’Ucraina spalmato in due anni. La novità tuttavia è che questo prestito non verrà garantito dai beni russi congelati ma dalla stessa Unione Europea. Questo significa che la linea sostenuta dalla Commissione e in particolare dalla Germania in queste settimane è stata sconfitta e alla fine ha prevalso il buon senso, come ha detto Giorgia Meloni. Ovvero i leader, convinti dalla caparbia resistenza del premier belga De Wever al quale si è unito l’appoggio italiano, hanno alla fine preferito evitare una mossa che nascondeva troppi rischi per l’Europa e che rappresentava un potenziale ostacolo per le trattative di pace in corso. Il presidente del Consiglio Costa ha comunque vagamente comunicato che «l’unione si riserva il diritto di utilizzare i beni immobilizzati per rimborsare questo prestito», ma se ne riparlerà in futuro. Per l’Ucraina in teoria non cambia nulla, anche se probabilmente il suo presidente avrebbe preferito l’utilizzo di quegli asset per una questione di giustizia. Zelensky ha comunque commentato che l’accordo «rappresenta un sostegno significativo che rafforza realmente la nostra resilienza» e che «è importante che i beni russi rimangano immobilizzati e che l’Ucraina abbia ricevuto una garanzia di sicurezza finanziaria per i prossimi anni».
Tecnicamente il prestito sarà finanziato tramite emissioni sui mercati con titoli a lungo e a breve termine e altri strumenti di gestione della liquidità, mentre il debito sarà formalmente a carico dell’Unione e non verrà imputato ai bilanci nazionali degli Stati membri. L’Ucraina sarà tenuta al rimborso solo nel momento in cui saranno versate eventuali riparazioni di guerra, che potrebbero essere anche ricondotte agli asset russi attualmente immobilizzati. In assenza di tali riparazioni, il debito potrà essere rinnovato. La garanzia ultima per gli investitori è rappresentata dal bilancio dell’Ue, in particolare dal cosiddetto “headroom”, ossia lo spazio tra il tetto delle risorse proprie e i massimali di spesa del quadro finanziario pluriennale. Dal momento che Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia hanno dichiarato di non voler partecipare, l’Unione dovrà far ricorso al meccanismo della “cooperazione rafforzata”, una procedura garantita dall’art.20 dei trattati.
Tale articolo prevede che «almeno 9 Stati membri dell’Ue possono avviare un’integrazione o una cooperazione avanzata in un settore specifico all’interno dell’Ue, quando è diventato chiaro che l’Ue nel suo complesso non può raggiungere gli obiettivi di tale cooperazione entro un periodo di tempo ragionevole». Il Consiglio ha quindi chiarito che i tre membri “riluttanti” non devono preoccuparsi, in quanto «qualsiasi mobilitazione di risorse del bilancio dell'Unione a garanzia di tale prestito non avrà alcun impatto» sui loro obblighi finanziari. La decisione del Consiglio rappresenta dunque una battuta d’arresto per il cancelliere Merz che pur di non riconoscere di aver perso ha detto che in fondo è stata «solo leggermente modificata la tempistica» e che «gli asset russi saranno utilizzati come cartolarizzazione del prestito».
Si è trattata invece di una vittoria della linea di Giorgia Meloni che secondo Politico è stata il «vero e proprio artefice del vertice», dettando il ritmo e i tempi dell’accordo e scegliendo alla perfezione il momento del suo intervento quando gli altri avevano esaurito tutti gli argomenti a disposizione. Per il nostro Presidente del Consiglio è stata una settimana da incorniciare, in cui ha inanellato ben quattro vittorie strategiche che pongono attualmente l’Italia in una posizione unica nel panorama europeo. Quella sul prestito all’Ucraina è stata preceduta dalla marcia indietro della Commissione sullo stop ai motori termici entro il 2035 e dall’apertura anche ai biocarburanti che il nostro governo ha sempre promosso. Poi è arrivata la vittoria sull’immigrazione, con l’intesa sul primo elenco di Paesi terzi considerati “sicuri” per gli immigrati, secondo una linea che la Meloni ha sostenuto fin dall’inizio del suo mandato. Quindi quella sul Mercosur la cui firma è stata rimandata (forse al 12 gennaio), come richiesto dal nostro governo. Quattro su quattro.