Peggio delle tasse c’è solo l’intenzione perversa dei tassatori, in questo caso dell’Unione Europea. Libero vi ha raccontato ieri non solo la megastangata (inaccettabile nella forma e nella sostanza) contro le sigarette, con i fumatori trattati come fagiani nella stagione di caccia, ma pure l’altra ipotesi di una botta fiscale (se ne sentiva proprio la mancanza...) contro le “grandi imprese”. Bel modo di spararsi sui piedi: significa molto semplicemente che una serie di investitori se ne andranno dall’Europa, cercando altrove i luoghi dove portare denaro e occupazione.
Il capitalismo moderno funziona così: con “aerei” che si spostano in cerca dell’ “aeroporto” più accogliente (in termini di tasse, burocrazia e giustizia civile). Ecco: se l’Ue si trasforma - più ancora di quanto non lo sia già - in una sorta di inferno fiscale, la prospettiva di desertificazione industriale e imprenditoriale è destinata a farsi sempre più concreta. Ma non divaghiamo e torniamo al punto: ancora peggiore di questi prospettati aumenti di tasse, è la ragione che sta dietro alla scelta: l’Ue vorrebbe trattenere il gettito per sé. Quindi, questo tipo di imposizione fiscale alimenterebbe le entrate dell’Unione. La quale- contestualmente - immagina megapiani di spesa sempre decisi a Bruxelles.
Provate a fare due più due, e avete capito dove intendo arrivare. Se costruisci un bilancio unico via via più debordante, è fatale che sempre più decisioni saranno centralizzate a Bruxelles, allontanandole dalle sedi decisionali più vicine ai cittadini, e imponendo un pilota automatico ai 27 governi e ai 27 parlamenti nazionali, a quel punto svuotati e ridotti a meri simulacri. Quindi ecco il sogno degli eurolirici del super-stato Ue: spese europee e tasse europee, ovviamente aggiuntive a quelle che già paghiamo. Siete proprio sicuri che questa nuova gabbia sia desiderabile?
Perla medesima ragione, portandoci avanti con il lavoro, dobbiamo tenerci alla larga da ogni tentativo di “unione fiscale”. Lo so, la parola - al primo ascolto - sembra suonar bene: i soliti noti parlano di “armonizzazione”. E - sempre a un orecchio distratto- può apparire ragionevole l’idea che in un grande blocco, com’è l’Ue dei 27, il sistema fiscale sia omogeneo e unico.
IL GRANDE INGANNO
E invece no. Anzi: no, no, no, per usare anche noi- piccoli piccoli- la triplice negazione della grandissima Margaret Thatcher. E perché no? Perché esistono due modelli alternativi. Da un lato, ed è ciò che piace ai fautori dell’armonizzazione, c’è l’idea di un sistema fiscale (e quindi di un bilancio) unico, dalla Finlandia al Portogallo, dalla Germania alla Grecia. Dall’altro, ed è invece quello che gli spiriti più liberali dovrebbero preferire, c’è un sistema di competizione fiscale, in cui ciascuno corra liberamente per rendere il proprio territorio più attraente per le risorse e gli investimenti.
In un sistema di competizione fiscale, viene premiato chi abbassa le tasse e alleggerisce la regolazione. Non solo: quel paese fungerà inevitabilmente da modello per tutti gli altri, che saranno virtuosamente costretti a imitarlo. Nei sistemi di armonizzazione, invece, è fatale che l’omogeneizzazione avvenga a livelli piuttosto elevati di tassazione e di regolazione. Con il “brillante” risultato di mettere fuori competizione un intero continente, appesantito dagli oneri fiscali e di regolazione. Infine, c’è anche un argomento culturale. Ma davvero nel 2021 qualcuno pensa ancora di riproporre modelli di centralizzazione alla sovietica? Davvero si pensa che la soluzione migliore per gestire le grandi diversità del nostro tempo sia quello di un vestito a taglia unica per tutti? Per carità.