Angelo Bonelli
Si intravede una luce nel tunnel in cui Donald Trump ha precipitato migliaia di imprese europee (e italiane) minacciando dazi al 30%, cioè insostenibili. Il presidente degli Stati Uniti, infatti, ieri, parlando con i giornalisti, ha dichiarato di avere l’intenzione di inviare una singola lettera a oltre 150 Paesi per comunicare quale aliquota tariffaria dovranno affrontare. E questa aliquota potrebbe essere del 10% o del 15%. «Sarà la stessa per tutti, per quel gruppo», ha detto il tycoon, citato dai media statunitensi. «Non sono grandi Paesi e non fanno così tanto commercio. Non come quelli con cui abbiamo già raggiunto accordi, come Cina, Giappone», ha aggiunto.
Poche ore prima, in un’intervista a Real America’s Voice, aveva citato esplicitamente l’Europa: «È probabile anche raggiungere un accordo con l’Europa», aveva detto il presidente Trump. «Potremmo forse raggiungere un accordo con l’Europa. Sapete, sono molto indifferente al riguardo», aveva aggiunto, precisando però che «l’Unione Europea è stata brutale con noi, e ora si sta comportando in modo molto gentile. Vogliono raggiungere un accordo e sarà molto diverso dall'accordo che abbiamo avuto per anni».
Parole che lasciano immaginare come le trattative in corso tra i mediatori dell’Ue e quelli americani stiano producendo frutti. La delegazione Ue, come è noto, è volata nei giorni scorsi a Washington per definire i dettagli tecnici di un accordo possibile. Il tempo non è tanto perché la scadenza fissata da Trump è il primo agosto e i contro-dazi minacciati dall’Europa dovrebbero entrare in vigore il 6 agosto. Ma i segnali sono buoni. A detta di chi sta seguendo da vicino il dossier, il punto di caduta finale potrebbe essere attorno al 15%. Non poco, ma nemmeno il30% ventilato inizialmente.
Che ci si avvicini a un accordo è convinzione che trapela anche dal governo. Il ministro Adolfo Urso, titolare delle Imprese e del Made in Italy, ieri intervenendo alla seconda giornata del congresso della Cisl, si è detto convinto che «siamo alla fase conclusiva di questo negoziato tra l'amministrazione Trump e la Commissione europea e ci auguriamo che sia una soluzione positiva, costruttiva, equa e sostenibile, come abbiamo sempre indicato con convinzione sin dall'inizio». E ancora: «Da quel che apprendiamo dalle dichiarazioni dell'amministrazione americana, sembra si sia in procinto di raggiungere un'intesa».
Il governo italiano, secondo Urso, ha fatto tutto il necessario operando «in modo costruttivo e collaborativo, affinché ci fosse un negoziato sia in termini bilaterali che con le istituzioni europee, in modo specifico con la Commissione Europea». Mentre la premier Giorgia Meloni, intervenendo anche lei al congresso della Cisl, ha ribadito che «tutti i nostri sforzi sono rivolti a questo», ossia a scongiurare una guerra commerciale che «non avrebbe alcun senso, impatterebbe soprattutto sui lavoratori».
Le opposizioni, invece, anche ieri hanno continuato a incalzare il governo, rimproverandogli di non agire. Per il leader dei Verdi, Angelo Bonelli, la premier deve «svegliarsi dal torpore. La guerra commerciale con gli Stati Uniti non è un rischio ipotetico: è già iniziata, ed è stata innescata da Donald Trump, non certo dall’Europa». I dazi al 30% dal primo agosto, secondo Bonelli, «sono un’estorsione, un atto di violenza economica che rischia di causare una crisi gravissima», solo l’Italia «potrebbe perdere 35 miliardi di export e oltre 180mila posti di lavoro». Per Simona Bonafè, vicepresidente vicaria del gruppo Pd alla Camera, i dazi avrebbero un impatto gravissimo su alcuni dei settori più competitivi del nostro export, come «moda e farmaceutica, colonne portanti del Made in Italy». Per questo, «chiediamo alla presidente Meloni di sostenere senza ambiguità il negoziato europeo. I dazi non sono un’opportunità, come sostiene Salvini, ma un danno certo alla nostra economia».