«Il “golden power” su Unicredit-Bpm? È stato utilizzato per motivi di sicurezza nazionale». Questa la risposta del governo italiano a Bruxelles, espressa ieri per bocca del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sui rilievi del Dpcm del 18 aprile applicato all’Ops lanciata dai vertici di Unicredit su Banco Bpm che Bruxelles contesta.
«La nostra risposta si baserà sulla sentenza del Tar del Lazio che ci soddisfa secondo la quale la sicurezza economica è parte della sicurezza nazionale» ha continuato ieri il numero uno del Mef. Il numero uno di via XX Settembre ha poi aggiunto che «è legittimo che le banche puntino a fare profitto, ma il governo deve guardare alla sicurezza nazionale. Infatti non ci sono solo gli aspetti sacrosanti della concorrenza ci sono anche quelli della sicurezza».
A distanza di 24 ore dalla dura lettera inviata dal Dg Comp, l’esecutivo comunitario, al governo, il clima resta ancora incandescente. E se il governo ha fin da subito assicurato che «risponderà, con spirito collaborativo e costruttivo, ai chiarimenti richiesti dall’Europa, così come già fatto dinanzi al Tar, nei termini e con motivazioni ritenute già legittime dai giudici amministrativi», da Bruxelles per ora non hanno replicato. Restano, però, le dichiarazioni rilasciate nelle scorse ore per cui la Commissione Ue, in via preliminare, ha precisato che «ciascuna delle prescrizioni contenuta nel decreto sia incompatibile coi principi generali e le altre disposizioni del diritto della Ue». In più ha già avvertito che «ci potrebbe essere il rischio di una revoca del Dpcm su Unicredit». E ieri sono arrivati anche altri dettagli.
Nella lunghissima “lettera” di ben 56 pagine, non proprio una semplice richiesta di chiarimenti, la Commissione contesta non solo che il Dpcm non le è stato mai notificato, ma anche che «ciascuna» delle prescrizioni imposte appare in violazione del diritto europeo. Principalmente quello che prevede la libera circolazione dei capitali. Tranne il capitolo Russia, su cui Bruxelles ritiene che debba essere la Bce a decidere. La stessa Bce che in tre annidi guerra non è riuscita ad ottenere che Unicredit uscisse dal mercato russo e non acquistasse i suoi bond, addirittura cresciuti di valore.
Una puntigliosità, quella della Commissione, che non può non stupire per la sua selettività. Nei mesi scorsi, infatti, più di un governo europeo si è scagliato contro operazioni finanziarie sulle proprie banche senza che nessuno a Bruxelles battesse ciglio. In Spagna nessuno si è intromesso sullo stop del premier Sanchez alle nozze tra BBVA e Salabell. Grazie ad una norma nazionale, non contestata dalla Ue, l’esecutivo ha imposto che la fusione operativa non avverà prima dei prossimi 3 anni. Congelando, e di fatto facendo saltare, un’operazione che avrebbe dato vita a un gigante da 27 miliardi di valore di Borsa.
Simile pure la situazione che si sta verificando in Portogallo, dove l’esecutivo s’è messo di traverso sull’acquisto di Novo Banco, quarta banca portoghese, da parte del gruppo spagnolo Caixa Bank che, già presente a Lisbona controllando Bpi, quinto gruppo portoghese. Il Ministro delle Finanze portoghese (nell’indifferenza dell’esecutivo comunitario) si è detto contrario alla fusione visto che «le banche spagnole rappresentano già circa un terzo del mercato bancario portoghese». Il caso più clamoroso, però, è quello che riguarda sempre Unicredit. Non in Italia, ma in Germania dove il governo di Mertz ha già più volte ribadito che Unicredit deve metter fine alla scalata su Commerzbank, seconda banca teutonica, e deve andarsene definitivamente. Insomma, tutto il contrario di quel che accade in Italia, dove Bruxelles vuole avere il potere di decidere cosa dobbiamo fare delle nostre banche.