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Patto di stabilità e Green Deal, catafalchi europei fuori dal tempo da smontare al più presto

Dal Patto di stabilità al Green Deal, comunque finisca la partita dei dazi la sentenza sull'Ue è già scritta
di Daniele Capezzone lunedì 14 luglio 2025

3' di lettura

Comunque finisca all’inizio di agosto la partita dei dazi (nella migliore delle ipotesi, con un buon accordo; nella peggiore, con una stangata terribile), c’è un catafalco Ue che andrebbe smontato al più presto. Anzi due, considerando il famigerato Green Deal. Mi riferisco al gabbione chiamato “Patto di stabilità e crescita”, anche se nessuno al mondo ha capito che cosa c’entri con quella camicia di forza il concetto di “crescita”.

La realtà continua a bussare alle porte dell’Europa, ma Bruxelles – con cieca ostinazione – non risponde e non apre. Viviamo in un Continente appesantito da un welfare costoso e collassante, segnato da una demografia non florida, intrappolato nella stagnazione economica o comunque in una situazione di crescita stentata. Più tutte le incognite che ben conosciamo: i dazi, appunto, oltre al permanere di un clima da economia di guerra, con tutto ciò che questo comporta, ovvero sfiducia e paura di cittadini e consumatori, incertezza per le imprese, ridotta propensione agli investimenti privati, e necessità di maggiori investimenti pubblici nella difesa. Un quadro del genere richiederebbe, come risposta politica, una intelligente propensione alla flessibilità, e uno sforzo generale per creare un ambiente economico entrepreneur-friendly, a tassazione e regolamentazione più ridotte, per incoraggiare e sostenere gli attori del mercato. E invece che si fa dalle parti di Bruxelles? Ci si è infilati nel nuovo supercarcere del Patto di stabilità “riformato”, e già da mesi (fin da quando la vecchia Commissione sempre guidata da Ursula von der Leyen era in articulo mortis) si minacciano gli Stati nazionali con la prospettiva dell’apertura di procedure da parte della Commissione.

È il pessimismo purtroppo a dominare queste mie righe, a causa delle regole non intelligenti che sono state approvate: il cosiddetto “nuovo” Patto di stabilità assomiglia a un trappolone concepito per tenere insieme l’ormai tradizionale propensione dell’Unione europea a produrre stagnazione (anziché crescita) e l’attitudine delle burocrazie bruxellesi all’arbitrio, alla discrezionalità, alla trattativa opaca, alla provocazione contro i governi non percepiti come “amici”. Il cuore dell’intesa lo conoscete.

L’Ue preparerà per ogni Paese un’ipotesi detta di “aggiustamento” spalmata su quattro anni. A quel punto, il Paese dovrà presentare delle controdeduzioni, e alla fine si arriverà all’adozione di un “percorso” allungabile fino a sette anni nel caso in cui il Paese faccia il bravo e accetti di fare alcune mitiche “riforme”. Per giunta, resta facilissimo l’innesco di una procedura per deficit o debito eccessivi. Resta appunto da capire – come accennavo prima – con quale coraggio si continui a usare la parola “crescita” accanto a “stabilità”: semmai, questa è un’autostrada verso la stagnazione, o proprio verso la recessione. In ogni caso, da mesi ci si dice (era questo il mantra di Paolo Gentiloni, uno degli artefici della “riforma”) che la “grande novità” sarebbe l’idea di trattare a livello bilaterale tra Bruxelles e il singolo Stato. Ma si tratta della versione 2.0, cioè di un mero aggiornamento, di ciò che de facto già avviene da anni e che non ci è mai piaciuto: una trattativa estenuante, caso per caso, anno per anno, con i commissari Ue nei panni degli esaminatori e i governi nei panni degli scolari. Inutile far finta che non sia così: questo sistema continuerà a portare con sé enormi rischi di discrezionalità e arbitrarietà. A un governo “gradito” si praticherà un trattamento, mentre a uno “sgradito” – con ogni probabilità – sarà riservato un trattamento di verso. In un contesto del genere, il Patto di stabilità andrebbe archiviato, anzi cestinato, insieme al suo catastrofico “parente” chiamato Green Deal. Cos’altro deve accadere per svegliarsi e voltare pagina?

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paolo gentiloni

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