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Von der Leyen, colate di fango dopo la bava: i progressisti la scaricano

di Daniele Capezzone martedì 29 luglio 2025

3' di lettura


«Ursula chi?». Nella solita Italia della viltà, del passaggio istantaneo dall’osanna al crucifige, da Piazza Venezia a Piazzale Loreto, la sinistra si aggiudica un nuovo primato: quello delle palate di fango contro Ursula Von der Leyen alla quale aveva però indirizzato - fino all’altro ieri - solo colate di bava.

Ecco Paolo Gentiloni, anzi il conte Gentiloni, che spara a palle incatenate dalle colonne di Repubblica: deve senz’altro trattarsi di un omonimo del Gentiloni che, fino a pochi mesi fa, era uno dei più zelanti commissari del primo gabinetto von der Leyen. Si deve principalmente a lui il disastro della “riforma” del Patto di stabilità. Eppure oggi ci spiega che, con i dazi, siamo in presenza di una «super tassa» e che «c’è poco da festeggiare». Vero, non c’è niente da celebrare. Anzi, la prima cosa da fare sarebbe proprio smantellare il gabbione del suo (di Gentiloni, intendo) “nuovo” Patto di stabilità.

Ed ecco i grillini: pure loro sparacchiano a vanvera. Deve trattarsi di un partito scisso (freudianamente) da quel Movimento 5 Stelle che nel 2019, quando Ursula iniziò la sua navigazione per soli 9 voti di margine, furono determinanti per quella partenza, che doveva e poteva essere evitata. E lo sarebbe stata, se non ci fosse stato il voto decisivo di ben 14 eurodeputati pentastellati. I quali rivendicarono la scelta e si descrissero (nientemeno) come “ago della bilancia”. Ma adesso pontificano e denunciano.
Ed ecco i piddini, letteralmente scatenati, a partire da una Elly Schlein che pare trasformata da eurolirica a euroscettica (magari). Anche qui deve trattarsi di uno scambio di persona con chi - nella vecchia come nella nuova legislatura europea- ha fatto da claque alla tedesca. Non solo avallando ma applaudendo tutte le scelte più sciagurate e sballate: a partire dal Green Deal versione uno (partorito dall’ineffabile Frans Timmerans, allora nume tutelare del Pd) e dal Green Deal versione due (quello rivisitato dall’ecoscatenata Teresa Ribera, portata oggi in processione dal Pd come una madonna pellegrina laicizzata e spagnoleggiante).

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Adesso il gioco di società è fingere che la von der Leyen stia solo sul conto politico della Meloni che (giova ricordarlo) la volta scorsa era all’opposizione in Ue e pure stavolta (luglio 2024), insieme a Matteo Salvini, votò inizialmente contro la riconferma della von der Leyen. E che dissero allora il Pd e i giornali di riferimento (cioè quasi tutti)? Si stracciarono le vesti e si strapparono i capelli, pronosticando che l’Italia sarebbe stata marginalizzata e privata di una vicepresidenza della Commissione. E adesso? Adesso sono loro a far finta di non conoscere la tedesca. Sarà l’ora di svelare a questi Fregoli, a questi virtuosi del trasformismo, che c’è un modo per risolvere la questione: volendo, possono sfiduciare la Commissione con le opportune maggioranze all’Europarlamento. Ma ovviamente non lo faranno.

Occhio perché, come accennavo, la sindrome riguarda pure i grandi media. Per anni, dai tempi di Jean-Claude Juncker, barcollante ma assistito dai barellieri della stampa eurolirica, qualunque sussurro contro Bruxelles e contro la Commissione veniva bollato come un atto di fascismo. E per von der Leyen è a lungo accaduto lo stesso. Ieri invece- neanche si trattasse di un corsivo di Libero - un graffiante commento sulla stampa dell’eurolirico Marco Bresolin l’ha paragonata a Fantozzi nella sua “genuflessione” a Trump.

Tutto molto istruttivo. E- benintesoin molti casi si tratta di critiche che Ursula effettivamente merita. Resta una forte perplessità sui pulpiti da cui le si indirizzano - solo ora e fuori tempo massimo - queste infervorate prediche. Anche perché fino all’altro ieri gli stessi spietati critici di oggi - al massimo - le lanciavano petali di rose.

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