Padova, 1 giu. (Adnkronos) - Sono trascorsi cinquant'anni dalla nascita, a Padova, della Fondazione "Emanuela Zancan", il 4 giugno 1964 in seguito a un lascito di un'assistente sociale prematuramente scomparsa, di cui porta il nome. Fin dai suoi primi giorni a guidarla è stata monsignor Giovanni Nervo, scomparso lo scorso anno. Fin dall'inizio la fondazione si è sempre posta come attento osservatore del welfare italiano, denunciandone le criticità e suggerendo soluzioni, presentando ricerche e diffondendo buone pratiche. Ha parlato alle Istituzioni, molte volte rimanendo inascoltata. Così cinquant'anni dopo, il welfare italiano vive un momento di recessione. Negli ultimi decenni ha sperimentato una vera e propria stagnazione, spiegabile con la persistente ricerca di miglioramenti di processo (giuridico, amministrativo, organizzativo) senza un parallelo investimento su innovazioni di risposta. Da 17 anni la Fondazione Zancan, nei rapporti annuali sulla povertà, ha cercato di richiamare l'attenzione delle forze politiche e dell'opinione pubblica su questi rischi. Nel frattempo, il persistente immobilismo ha permesso alla povertà di trasformarsi, da fenomeno transitorio e congiunturale, in un'involuzione strutturale difficilmente reversibile, che allarga le disuguaglianze sociali e intacca i diritti fondamentali. "Solo recentemente, in concomitanza con l'ultima Legge di stabilità, sono emerse proposte di affrontare il fenomeno della povertà in termini più organici - commenta il direttore Tiziano Vecchiato -. Purtroppo l'esito non si è scostato dalle decisioni tipiche di un passato da superare: modesti allargamenti degli interventi assistenziali con trasferimenti economici variamente denominati (carta acquisti, social card, Reis, Sia...). I diritti dei poveri non possono essere ridotti a pacchetti di euro da trasferire con costose procedure burocratiche e improbabili attivazioni. Condannano le istituzioni a raccogliere e redistribuire, senza investire per rigenerare le risorse a disposizione".(segue)




