Gola, lussuria, iraI peccati fanno bene

Cade l'ultimo tabù: i vizi non sono nocivi. La superbia ci rende più socievoli e felici, l'invidia ci spinge a dare il meglio
di Eliana Giustodomenica 28 aprile 2013
Gola, lussuria, iraI peccati fanno bene
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di Daniela Mastromattei Superbia, avarizia, accidia, gola, lussuria, invidia, ira: se fino a ieri pensavamo che i sette peccati capitali rappresentavano la strada più breve per l’inferno, da oggi possiamo  tirare un sospiro di sollievo. La psicologia sperimentale  ha svelato che se assecondati con saggezza, sono funzionali e rendono migliori. Anche  i vizi più tremendi fanno diventare  più  arguti, vincenti e felici. Parola di Simon Laham, giovane e brillante studioso australiano che nel suo libro Il gusto del peccato (edito da Sperling & Kupfer) dimostra senza ombra di dubbio (o di scrupolo) che «l’immoralità è molto più produttiva, vantaggiosa ed eticamente irreprensibile». Per l’autore «astenersi dal vizio è l’unico vero peccato». In linea con Oscar Wilde che poteva «resistere a tutto tranne alle tentazioni».   Per secoli i sette peccati capitali sono stati bollati come reati gravi  spaventando a morte grandi e piccini permeando la nostra cultura dalle opere di Chaucer, Dante e Milton ai film di David Fincher,  ora  si scopre  che hanno degli effetti positivi. Troviamo avidi  felici, accidiosi perspicaci, ci rivelano perché l’ira fa di noi dei temibili negoziatori e la superbia aiuta l’autostima. La superbia è in cima alla lista. Il superbo possiede l’orgoglio autentico. Che vuol dire? Che gli orgogliosi autentici, spogliati dell’arroganza, sono piacevolmente estroversi, divertenti, emotivamente stabili, coscienziosi e aperti a nuove esperienze. Sono meno soggetti a depressione, fobia sociale, ansia e aggressività, più soddisfatti dei rapporti umani, più socializzanti. Hanno anche maggiore autostima. Sono felici. Infelici, forse, lo sono quelli che gli stanno accanto, se non riescono a contenere arroganza, egocentrismo  e spacconeria.  L’avarizia, vizio legato al denaro: è lì il fulcro del suo status contemporaneo di peccato. Ma la verità è che più si è ricchi più si è felici. I Paesi ricchi sono più felici di quelli poveri. I ricchi sono più soddisfatti della loro vita, hanno più esperienze positive, si divertono di più. Aristotele osservava che benché «gli uomini credano che a rendere felici siano i beni esterni è il disporre  di se stessi che dà piacere, felicità e godimento». E come si fa a disporre di se stessi senza denaro? A conferma della tesi di Aristotele scopriamo che  gli acquisti esperenziali danno più gioia di quelli materiali. Il piacere di andare a sciare o al ristorante sorpassa di gran lunga  il possesso di abiti, gioielli ecc. L’atto stesso di guadagnare denaro è piacevole quanto spenderli. Ecco perché l’avaro è motivato, dà buone prestazioni. È autosufficiente. L’accidia come inattività fisica o mentale, riluttanza  agli sforzi, alla fatica, lentezza, pigrizia, indolenza, ozio. Più che un peccato somiglia a un pomeriggio domenicale.  Vero è che rallentare, scrive Laham,  fa emergere l’altruista che è in noi, concederci un po’ di accidia e smettere di pensare solo ai nostri interessi ci permette di occuparci un po’ più degli altri. Chi va di fretta ha i paraocchi: cerca di non farsi distrarre da niente e da nessuno. Va dritto verso il suo obiettivo. Ed ecco l’invidia: il desiderare ciò che è degli altri rende più felici, intelligenti e creativi.  Quando un individuo manca delle qualità, dei successi o dei beni di un altro  individuo e li desidera è invidia benigna. Quando desidera che l’altro ne sia privo  è maligna (questa non ci interessa). L’invida può renderci più creativi, sposta e innalza le nostre aspettative, ci motiva a far meglio e a raggiungere obiettivi sempre più alti.   L’ira, quell’emozione negativa che può diventare così positiva da migliorare la performance. Ci spinge a perseverare invece di rimuginare sul momentaneo fallimento. Le persone adirate ci appaiono dominanti, forti, determinate: qualità presidenziali. Anche se esprimere rabbia giova a chi già detiene un ruolo di potere. Altrimenti state calmi.  La gola: mangiare tropo avidamente e cibi troppo costosi. Ma il cibo per l’uomo oggi è non solo fonte di energia, è un’esperienza estetica, sociale, identitaria. Non solo: il goloso che si aggiudica l’ultimo bicchiere di  limonata zuccherata (rapidamente trasformata  dall’organismo in glucosio) è un po’ più sveglio e reattivo, più disponibile, meno aggressivo del depresso a dieta perenne.  La lussuria, regina dei vizi, si rivela anche regina delle virtù perché chi vuole conquistare il partner è pronto a mettersi in mostra e a spremere al massimo la propria creatività e il proprio ingegno. Chissà se si rivolterà nella tomba, per questa nuova lettura dei peccati capitali, papa Gregorio Magno. Fu lui in un libro del 590 d.C., il Commento morale a Giobbe a perfezionarli.  Ma non fu lui a inventarli.  Nacquero all’interno della vita monastica altomediale per impedire ai religiosi di perdere il controllo e abbandonare la vita spirituale.  I priori non volevano ritrovarsi a gestire una compagnia di monaci golosi (tra l’altro  nei monasteri non c’era molto cibo a disposizione), né di acciosi, superbi o invidiosi, pronti ad abbandonare allegramente i disagi della vita consacrata al primo banale ostacolo spirituale.  Ma quei peccati,  per millenni nel mondo occidentale, sono  stati considerati  trasgressioni tutt’altro che condonabili.