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"Dalla crosta terrestre si può anticipare il sisma"

Prevenire un terremoto è impossibile, ma stiamo testando precursori che forniscono dati su una catastrofe prima che questa accada
di Nicoletta Orlandi Posti giovedì 31 maggio 2012

2' di lettura

Per Giovanni Gregori, geofisico del Cnr, le polemiche sulla mancata allerta terremoto in Emilia sono pretestuose: «Prevedere un sisma è impossibile». Anche se a una settimana di distanza dalla prima scossa ne segue una della stessa potenza distruttiva. «La seconda ondata poteva avvenire due ore, due settimane o due mesi dopo», spiega. Ma allo stesso modo, aggiunge Gregori, che è anche scienziato associato all’Ievpc, il celebre centro americano per la previsione di eventi sismici e vulcanici, «è assolutamente irresponsabile asserire che non è possibile fare una diagnosi, più o meno accurata, della crosta terreste».  Che vuol dire, professore? «Oggi i sismografi ci dicono solo quando un sisma sta avvenendo. Un po’ come il medico quando fa l’autopsia su un paziente morto. Inutile chiudere la stalla quando i buoi sono scappati». Lei collabora con l’Ievpc: cosa propone? «Da quindici anni stiamo sperimentando una metodologia innovativa in grado di evidenziare le tempeste crostali». In che modo? «Attraverso misure di emissione acustica, ultrasuoni misurati sugli affioramenti rocciosi. La roccia, quando subisce alterazioni al suo interno, emette un “lamento”. E noi registriamo lo sforzo della crosta terrestre. Lo stiamo facendo in Basilicata, a Potenza e Valsinni, e sui vulcani: Vesuvio e Stromboli in Italia, e sulle Ande al confine tra Argentina e Cile. In Italia, lo dico da tempo, l’emergenza maggiore riguarda i vulcani, soprattutto il Vesuvio». Torniamo ai terremoti. L’analisi della crosta terrestre li può prevenire? «Diciamo che funziona come il meteo: non so quando pioverà, ma almeno sono in grado di prevedere se ci saranno o meno le nubi. Per la crosta terrestre è lo stesso: se è in atto quella che noi definiamo tempesta crostale, è possibile che evolva in un terremoto».  Lei ha dichiarato che se lungo la faglia di Paganica, in Abruzzo, fossero stati installati i sensori, sarebbe stato possibile capire cosa stava accadendo. «I geologi sapevano che la faglia di Paganica era a rischio. Se lungo le faglie presenti in Italia, e da tempo inattive, costruissimo una rete di sensori, saremmo in grado di conoscere, in tempo reale, l’evoluzione della criticità così da indicare il livello di rischio». I costi quali sarebbero? «Dipende dall’ampiezza della rete. Un conto sono cento sensori, altro mille. Al momento il costo è elevato, visto che siamo a livello di prototipi. Il quadro cambierebbe in caso di produzione su scala industriale. Il problema, però, è culturale. E politico». Che vuol dire, professore? «Immagini cosa accadrebbe se, in base al monitoraggio degli ultrasuoni nel suolo, le autorità dessero l’ordine di evacuazione e, durante lo sgombero, qualcuno si sente male e muore. Oppure se poi, pure in presenza di evacuazione, il sisma non si verifica. Prima occorre aggiornare la legislazione e subito dopo adeguare la costruzione degli edifici». di Tommaso Montesano

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