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Oggi la resa dei conti: Maroni processa Bossi

Caso dossier, Belsito assoldò un detective per screditare Bobo. L'ex ministro: "Ora scateno una guerra atomica". Il Senatùr sapeva?
di Giulio Bucchi domenica 22 aprile 2012

4' di lettura

Si vedranno oggi, ma solo perché ieri uno era a Roma e l’altro a Milano. L’uno è Roberto Maroni. L’altro è Umberto Bossi. Il primo - secondo Panorama - era spiato da tempo per ordine del tesoriere Francesco Belsito. Che ha giurato: il Senatur sapeva ma non ha fermato l’operazione. Bobo è inferocito. Non crede che gli investigatori sguinzagliati dai rivali interni del Cerchio magico fossero al lavoro solo da gennaio, ma da molto prima. Soprattutto, vuole guardare il fondatore negli occhi. È (anche) a lui che si riferisce quando parla di «amici» o «presunti amici», perché il sospetto che Umberto sapesse è forte. Bobo s’è sfogato con i fedelissimi. Ha parlatro di «metodi mafiosi» usati proprio contro di lui, il ministro che ha fatto catturare i boss. «Adesso lascio o raddoppio». Non è più tempo di mezze misure e l’esponente leghista si vede di fronte a un bivio. O manda tutti al diavolo oppure scende in campo ufficialmente. Puntando alla segreteria federale. Proprio il ruolo per cui - ripeteva fino all’altro giorno - voterebbe Bossi se Bossi si dovesse ricandidare. Ieri mattina, invece, per Bobo è arrivata la doccia fredda di Panorama che l’ha contattato per avere un commento sui dossier di Belsito. Maroni vede un collegamento tra le informazioni raccolte dagli investigatori dell’ex tesoriere («parlano pure di motoscafi, ma io non ne sono neanche appassionato» ripete Bobo) e i veleni sparsi negli ultimi mesi dal sito lavelinaverde.org. In effetti, ci sono delle analogie. «Maroni capo degli onesti?» si leggeva nell’ultimo articolo, apparso a gennaio «Ma va … balle! A Maroni piace Roma, e piacciono i laghi romani, le ville sul lago di Bolsena e le belle barche (mai i soldi per tutte queste barche a vela dove li trova?)». Frasi simili, a essere maliziosi, a quelle di Renzo Bossi detto Trota a dicembre, quando scrisse sul suo blog: «Ma allora permettetemi un’ultima domanda: i politici, con le loro frasi in politichese, non dovrebbero occuparsi della crisi e della povera gente che non arriva a fine mese, invece di tenersi stretto il loro potere romano, utilizzandolo per  mantenere ville e  amanti e per intimidire le voci fuori dal coro?». Al di là dei veleni e dei sospetti, Bobo sbuffa: «Velinaverde parlava di ville sul lago di Bolsena ma non ci sono mai stato». Al cronista del settimanale ha confidato: «Adesso, alla luce di quello che avete scoperto, leggo alcuni fatti accaduti di recente in modo diverso... Per esempio quando ho visto Belsito nella sede di via Bellerio a scandalo appena esploso. Io ero lì a esternare senza mezze frasi tutto il mio disgusto per quello che stava uscendo dalle indagini della magistratura e lui mi fa: “Sta’ zitto, che anche tu...”. Lì per lì non gli ho dato peso e gli ho risposto a muso duro: “piantala con le tue minacce da mafioso da strapazzo”». Pensare che proprio Belsito, inferocito contro Bobo, ha giurato sempre a Panorama: «Mi risulta che Maroni quando, nel 2010, sono stato nominato sottosegretario alla Semplificazione, mi abbia fatto fare uno “screening” completo (...). Adesso non possono dire che nessuno mi conoscesse». Ieri, prima della conferenza stampa organizzata dal Carroccio a Roma verso le 17, Bossi e Maroni non si erano ancora sentiti. Bobo non ha alzato il telefono perché vuole vederlo negli occhi, e ha il dubbio che anche altri dirigenti lumbard sapessero qualcosa. Ovvio che il pensiero corra all’ormai ex leghista Rosi Mauro, che ieri ha attaccato Maroni perché «dal palco di Bergamo ha incitato contro i colleghi» e cioè contro di lei che - poche ore prima del comizio - aveva rifiutato di dimettersi dalla vicepresidenza di Palazzo Madama in una telefonata coi vertici del movimento. Però i dubbi dei maroniani sono a tutto campo. Per esempio, cosa pensa della faccenda Roberto Calderoli? In questo clima, pure il Senatur si sente accerchiato. Come gli succede in questi casi, settimana scorsa ha chiamato a Milano la segretaria che ritiene più fedele, Nicoletta Maggi, quella che il fondatore del Carroccio definisce bonariamente «il mio cane da guardia». Pochi giorni fa, davanti ai triumviri, Bossi ha detto che la Maggi «è esperta nel ritrovamento di cimici». E in effetti, nel 2011, era stata ascoltata dai pm dopo che il Senatur aveva rivelato la presenza di microspie nella sua casa romana e nell’ufficio. Ma la donna giurò ai magistrati di non aver né visto né trovato qualcosa di sospetto. Oggi Maroni e Bossi si parleranno. Per domani sera, l’ex inquilino del Viminale ha fissato un comizio a Borgomanero, Novara. Ieri il Senatur ha deciso di andarci pure lui. Un gesto di cortesia o uno sgarbo per non lasciargli la scena? Un dettaglio, rispetto ai dossier... di Matteo Pandini    

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