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"Voglio un matrimonio in allegrianonostante chi lancia le pietre"

Lo sfogo di Cecchi Paone: "Dopo aver presentato il mio fidanzato Claudio ci aspettavamo gli auguri, invece sono arrivate pietre"
di Nicoletta Orlandi Posti martedì 31 luglio 2012

3' di lettura

di Alessandro Cecchi Paone Giusto vent’anni fa feci sapere agli interessati ed ai curiosi che intendevo sposare Cristina, la mia fidanzata spagnola. Per la trasparenza che credo sia un dovere dei personaggi pubblici, rispettosi di sé e degli altri. Ma soprattutto per condividere la gioia che provavo nel vivere un grande amore corrisposto. Ne fui ripagato, tutti ci fecero giungere auguri e felicitazioni. Nessuno mise in dubbio la verità delle nostre intenzioni e dei nostri sentimenti. Né si preoccupò delle garanzie reciproche che ci davamo, assicurate dal codice civile, e dalla civiltà della nostra educazione familiare. Una settimana fa, dietro l’affettuosa insistenza del direttore di Chi Alfonso Signorini, che sapeva della mia ritrovata serenità sentimentale, ho manifestato la stessa intenzione nei confronti di Claudio, il mio fidanzato portoghese, che dall’inizio di quest’anno vive con me, e divide con me, come si dice, gioie e dolori. In realtà più gioie che dolori, per fortuna. Gli amici veri hanno esultato, come è ovvio, ex moglie compresa, promettendo brindisi e balli. Auguri pubblici, invece zero. Né sui giornali, né dalla politica o dalla società. Ci è dispiaciuto, ma non ci siamo stupiti. Ho spiegato al mio compagno iberico, abituato alla normalità dei matrimoni gay nel suo Paese, che Italia e Grecia sono le uniche democrazie occidentali dove gli amori non eterosessuali non sono bene accetti, soprattutto dalle classi dirigenti, e dunque né riconosciuti, meno che mai garantiti. Insomma creano imbarazzo e fastidio, soprattutto in chi si sente minacciato dalla felicità altrui. Anche chi li sostiene in Italia mena gramo: invece che dal progetto di garantire a tutti la gioia e la buona sorte, si comincia sempre dall’imperativo, sacrosanto beninteso, di assicurare libero accesso ai partner gay negli ospedali, negli obitori, nelle ultime volontà del caro estinto. Insomma, per gli etero l’augurio dell’officiante è sempre un entusiastico voto di prosperità, fecondità e salute. Per il resto rapida lettura degli articoli del codice civile. Al contrario anche i più fiendly preparano per le coppie gay la promessa di una condivisa malattia e di una morte assistita. Dalla marcia all’agonia nuziale. Eh no! Scusate ma certe cose  vogliamo affidarle come tutti agli avvocati e ai notai. Per il resto che sia anche per noi dolcezza e piacere. Possiamo aspettarci  almeno una pacca di incoraggiamento sulla spalla? O un commento sulla bellezza del fidanzato surfista, e il sorriso raggiante del maturo innamorato felice? Niente da fare. Anzi proprio da questo giornale libertario e vitalistico, complici le ferie del direttore amico di una vita, hanno preso il volo per un giorno gli uccellacci del malaugurio. Rimestando negli immondezzai del web e degli archivi fotografici più riposti, la sentenza è arrivata feroce. Questo matrimonio non s’ha da fare, i promessi sposi o mentono o sono dei poco di buono. Grazie della fiducia e dei complimenti. Invece che auguri affettuosi ed incoraggiamenti arrivano sputi, non volano confetti ma pietre. Ha affermato il nuovo arcivescovo cattolico di San Francisco, che guarda caso ha un cognome a metà tra la mafia e le crociate, che  «i matrimoni gay sono opera del demonio», il quale notoriamente si annida nella lingua di chi ne pronuncia il nome. Al suo posto inviteremo a benedire l’unione mia e di Claudio chi crede nel rispetto degli esseri e dei sentimenti umani, nell’amore e nel piacere, nella pulizia della bellezza e nel desiderio provato da chi si vuole bene. E per favore: chi ha ritenuto improvvidamente di parlar male, ora, come si usa fra persone civili, taccia per sempre.

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