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Come affrontare le prese in giro

Ritrovare la propria autostima
di giovanni morelli domenica 18 novembre 2012

2' di lettura

Di fronte ad un bambino remissivo che non reagisce alle prese in giro dei compagni, la prima cosa che i genitori posso fare è riconoscerlo nella unicità e specificità del suo modo di essere e di rapportarsi a sé stesso e agli altri. Questo riconoscimento, accompagnato autenticamente a sentimenti di rispetto e di empatia, potrà rappresentare la base sicura su cui radicare l’affetto per sé stesso e la propria autostima. Spesso i bambini, vittime di ripetute aggressioni verbali da parte dei coetanei, finiscono col condividere l’ottica dell’aggressore: si percepiscono, cioè, diversi, fragili, inadeguati e, per questo, meritevoli di essere presi in giro e di essere umiliati. La timidezza e/o la tendenza all’introversione che, di frequente, caratterizza questi bambini fa sì che, per lo più, non siano propensi a “coltivare” molti contatti sociali, ricevendo così pochi consensi, percependosi isolati e/o esclusi. È indispensabile, quindi, che il bambino possa contare innanzitutto sulla solidarietà e sulla vicinanza emotiva dei genitori. I loro sentimenti lo aiuteranno a sentirsi compreso, sicuro, accolto, amato. Partire da un atteggiamento di accettazione, suggeriscono i coniugi Markwar in “Il bambino timido e come aiutarlo”, rappresenta il primo “mattone” perché il piccolo possa costruire un rapporto più sereno con sé stesso e con gli altri. Infatti, nutrendo rispetto nel proprio modo di essere e fiducia nelle proprie capacità sarà in grado di affrontare le difficoltà e gli ostacoli della vita extrafamiliare, accettando le frustrazioni senza che ciò mini, gravemente, la sua autostima. Sarà, poi, necessario offrirgli stimoli adeguati per analizzare il problema e fare elaborare al bambino strategie emotive e di comportamento per lui più soddisfacenti. Il suggerimento è quello di riflettere insieme a lui su alcuni aspetti del problema. In primo luogo sull’importanza del parlare piuttosto che subire in silenzio, chiudendosi in sé stesso. Parlare non significa, in questi casi, “far la spia” ma cercare e ricevere l’aiuto di cui ha diritto. Sarà utile, anche, elaborare insieme al bambino delle ipotesi per modificare concretamente i suoi rapporti con il gruppo classe: dall’invitare a casa i compagni con cui desidera approfondire un rapporto di amicizia al fissare uno o più colloqui con le sue insegnanti per creare una rete di alleanze. a cura della psicologa Maria Rita Parsi

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scuola
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