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Gregoretti, "Matteo Salvini aveva ragione": perché la sentenza è una condanna per il Pd

Renato Farina
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Il Gup di Catania ha prosciolto sì, come già era noto, Matteo Salvini dall'imputazione di sequestro di 131 persone confinate per alcuni giorni sulla nave Gregoretti della Guardia Costiera, al largo di Augusta (Siracusa) nel luglio del 2019 . Ma dir così sarebbe minimalismo. Non si è accontentato neppure della formula già amplissima «il fatto non sussiste». Nelle motivazioni pubblicate ieri il giudice Nunzio Sarpietro ha impartito una sorta di benedizione giuridica all'azione dell'allora ministro dell'Interno nel campo dell'immigrazione clandestina. Di certo è una sentenza di marmo tirata sui denti fino a un attimo prima ridanciani della sinistra parlamentare - dal Pd a Leu ai Cinque Stelle - che ha consegnato al tribunale per liquidare con l'onta del processo e della galera il proprio oppositore politico. 

 

SUCCESSO PIENO
Povero Zingaretti (Letta non era ancora arrivato) ma almeno costui era all'opposizione quando Matteo chiudeva i porti all'invasione. Miserabili soprattutto i Conte e i Toninelli pronti a pugnalare il collega di governo dopo averne assecondate le mosse, rinnegandole davanti al sinedrio per meschina vendetta. I filosofi la chiamerebbero eterogenesi dei fini, la saggezza popolare parla di pifferi di montagna partiti per suonare e alla fine suonati per la loro beffa cosmica. La difesa, magistralmente condotta da Giulia Bongiorno, in sede di udienza preliminare, aveva proposto una doppia strada per il proscioglimento. La principale? Non c'è alcun crimine, punto. Ma, conoscendo le insidie del mondo, e le forzature orrende rivelate dalle chat di Luca Palamara, l'avvocata offriva una scappatoia al Gup. In sintesi: ammesso e non concesso che ci sia materia di reato, gli atti del ministro non erano tesi aun interesse personale, ma sono stati posti in essere per l'alto scopo di garantire la sicurezza nazionale all'interno di competenze e responsabilità che attengono al suo giuramento. 

 

Come dire: magari potrà esserci anche stato un sequestro di persona, a voler essere cavillosi, ma lo stato di necessità, il pericolo incombente per la nazione, esigeva queste scelte chiare e nette, sempre salvaguardando la salute dei clandestini, ma senza consentire loro un approdo senza certezza di sistemazione adeguata in Europa. Il giudice di Catania ha sorpassato, mettendo il turbo della ragionevolezza, questo approdo assolutorio sì ma in fondo da sei in pagella. Proscioglie perciò Salvini non perché ha agito in quanto ministro e come tale ha lo scudo della sua funzione, ma avendo egli lavorato arci-bene. Secondo la difesa della Bongiorno ha prodotto documenti talmente convincenti da cancellare ad ogni sguardo onesto qualsiasi margine di dubbio: il titolare a quel tempo del Viminale agendo come ha agito non ha posto in essere alcuna condotta suscettibile di essere considerata criminale. Noi tradurremmo il giuridichese in una valutazione politica pertinentissima al presente: magari la ministra Luciana Lamorgese agisse oggi come fece nel 2019 Matteo Salvini, del quale era allora prima, e dimentica, collaboratrice... 

 

CHE LEZIONE...
Scrive il dottor Sarpietro: «Gli elementi acquisiti si pongono in termini di assoluta chiarezza e completezza in merito alla insussistenza del delitto ipotizzato a carico dell'imputato, e le fonti di prova non si prestano a soluzioni alternative, non apparendo interpretabili in maniera diversa». Matteo Salvini non è stato mandato a processo insomma perché «il giudizio dibattimentale» sarebbe «del tutto superfluo». In soldoni: il Tribunale dei ministri quando ha chiesto al Senato di far processare Salvini a Catania ha preso una topica gigantesca. 

E i senatori approvandone le valutazioni hanno dimostrato di non aver studiato e di essersi lasciati guidare dalla voluttà punitiva nei confronti del nemico politico. Ovvio che Salvini abbia ben ragione di ritenersi soddisfatto. La senatrice e avvocata Giulia Bongiorno va più in là e ritiene questa sentenza dirimente riguardo anche al processo che si aprirà a Palermo il 15 settembre per l'analoga vicenda di Open Arms (147 migranti a bordo della nave Ong al largo di Lampedusa, agosto 2019). Sostiene la principessa del foro: «Gli argomenti della sentenza... analizzano globalmente la linea sul controllo dei flussi migratori del governo Conte I, passando in rassegna plurimi sbarchi di migranti sulle nostre coste, avranno inevitabilmente ricadute sul procedimento sul caso Open Arms». In contemporanea a questa sentenza è uscita un'intervista molto interessante di Fabio Martini sulla Stampa al predecessore di Salvini al Viminale, Marco Minniti (Pd). 

Dice: «Se ti concentri unicamente su sbarchi illegali e incontrollati non riesci a risolvere il problema. È una partita assai più grande che deve essere gestita non dai singoli Stati ma dall'Europa. Devi avere una visione. Purtroppo da questo punto di vista la vicenda del Consiglio europeo di giugno è icastica. Sono state decise due cose: affrontare immediatamente il negoziato con la Turchia per gestire la rotta orientale, che interessa alla Germania, dove si vota a settembre, mentre per il Mediterraneo centrale si è preso tempo, dando mandato alla Commissione di definire un progetto entro l'autunno. Ma il Mediterraneo non può attendere». Giustissimo. Che fare? Due proposte. 1) Il governo Draghi si occupi subito di questa instabilità geopolitica, vista la lentezza dell'Europa, nominando un commissario speciale per Africa e Migrazioni, dando così una scossa a Bruxelles. 2) Il fatto che il problema sia l'Africa e sia necessario risolvere il problema a monte, o meglio alle sorgenti del Nilo, non è un buon motivo per non tappare le falle dell'ultimo miglio. Le statistiche dicono che il 3% di chi prova la traversata muore. Meno traversate meno morti. 

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