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Marco Travaglio, manettaro nel dramma: gli indagati restano anonimi? Che fine farà il suo "Fatto Quotidiano"

Filippo Facci
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Mentire sapendo di mentire equivale a menzogna. Non è il caso di Valeria Pacelli del Fatto Quotidiano, che poveretta, probabilmente l'hanno cresciuta così, nella scuola coranico/forcaiola del Fatto Quotidiano, l'unico quotidiano occidentale che ieri (pagina 7) ha potuto chiamare «bavaglio» l'omettere che un indagato sia anche un «presunto innocente», e che non si dovrebbe, perciò, sput***rlo con nome e cognome prima che una sentenza processuale lo giudichi colpevole. Il contrario di questo si chiama presunzione di colpevolezza, e non stiamo forzando le cose: il titolo del Fatto, ieri, era «Prove di bavaglio: l'indagato sarà A.B. e presunto innocente». Mentre l'indagato, a loro dire, dovrebbe sempre avere nome e cognome - da sparare nei titoli- ed essere presunto colpevole. Prendiamo atto.

 

 

Atto giudiziario. Il Fatto parlava dell'ormai nota «legge sulla presunzione di innocenza» (trionfo del pleonasmo) ma ci limiteremo, su questo, a esprimere un dubbio e una certezza. Il dubbio: il bavaglio andrà sopra o sotto la mascherina? La certezza: la premiata cancelleria del Fatto ha di che consolarsi, perché i nomi e cognomi da omissare conosceranno delle eccezioni. Non nel senso che si potrà menzionare gli indagati anche durante le indagini preliminari, da presunti innocenti: nel senso che non si potrà menzionarli neanche da colpevoli acclarati. Spiegazione: l'amico Stefano Zurlo del Giornale, dodici anni fa, raccolse una grande quantità di sentenze emesse dalla sezione disciplinare del Csm, dopodiché ha aggiornato l'indagine con altri due volumi editi da Baldini e Castoldi: «Il libro nero della magistratura» a cui è seguito il recente «Libro nero delle ingiuste detenzioni».

 

 

PARADOSSI
La casistica, al di là di sanzioni che per i togati risultano mediamente ridicole - ammonimenti, censure o perdita di anzianità - racconta di magistrati che hanno dimenticato innocenti in carcere, hanno perso fascicoli e annidi lavoro altrui, oppure sono mezzi pazzi, uno l'hanno visto chiedere l'elemosina per strada, un altro ha spalmato l'ufficio di Nutella, un altro ha urlato «ti spacco il c**o» a un avvocato: trattasi di gente anche in attività. Il particolare che rassicurerà il Fatto Quotidiano però è questo: mancano i nomi. Mancano anche i luoghi. Non sappiamo né sapremo chi sono questi magistrati. Motivo: il Csm - con lettera del 27 agosto 2008 - ha invocato la legge sulla privacy e la protezione dei dati personali, paventando querele intergalattiche in caso di violazione. Il parlamentino dei magistrati, nel dettaglio, si richiamava agli articoli 137 e 52 del Codice sulla privacy per sottolineare l'obbligo di «omettere i dati identificativi salvo in caso di consenso dell'interessato», oppure «di ricorrenza degli elementi riconoscibili a casi che abbiano assunto rilevanza pubblica». Significa che i giornalisti dovrebbero poter nominare un magistrato solo se lui lo concede, o se ciò che lo riguarda sia al centro della cronaca: dimenticando che focalizzare dei fatti di pubblico interesse, mettendoli al centro della cronaca, è proprio il compito dei giornalisti. Libero, nel 2009, chiese spiegazioni all'allora Garante della Privacy, Francesco Pizzetti: si voleva capire se la normativa preveda che vadano omessi, oltreché i nomi dei minori e delle vittime di violenze sessuali, anche quelli dei lorsignori con la toga. Il Garante Francesco Pizzetti rispose nell'ottobre 2009, e scrisse che avrebbe avviato un'istruttoria. La stiamo ancora aspettando. Chissà se l'attuale garante Pasquale Stanzione ha qualcosa da dirci dopo quasi dodici anni. «Hanno un ufficio apposta per sbianchettare i nomi dei magistrati prima di darli ai giornalisti, o a chi insomma vuole vedere le carte», ci dice ora Stefano Zurlo. Ma come, i microfoni di Radio Radicale non registrano le sedute? «Non fanno entrare neanche loro, o al dunque li fanno uscire».

 

CANE NON MANGIA CANE
Riflessione: forse stiamo esagerando, forse parliamo di reati bagatellari o come di dice oggi: di «tenuità dei fatti». Vediamo. Leggiamo. C'è il magistrato che assegna centinaia di incarichi all'amico con cui condivide la frequentazione di un giro di prostitute, c'è il gip che dimentica per un anno e mezzo di liberare due imputati, c'è il giudice d'Appello che fotografa le nipoti minorenni e diffonde in rete le loro foto pedopornografiche: sono reati bagatelari? C'è un giudice che diede i numeri sulla pubblica via: prima ubriaco, aggredendo i passanti che volevano aiutarlo, poi insultando le forze dell'ordine intervenute per bloccarlo, poi offrendosi di «leccare la figa» alla dottoressa del 118, infine scappando dai carabinieri con classico tamponamento contro la «gazzella» dell'Arma. C'è il giudice che diede un pugno in faccia alla moglie con insulti, strattoni e altre lesioni: ma la donna ritirò la querela e la commissione del Csm derubricò a «insofferenze reciproche», perché «tutte le violenze furono consumate all'interno della convivenza, dunque senza effetti sul piano sociale e della credibilità del magistrato». Assolto. Poi leggi le paginate sui femminicidi. C'è il pm che indagava su un padre che aveva accoltellato mortalmente la figlia di due anni, questo davanti alla moglie e ai familiari: aveva evidenti problemi psichici, ma il magistrato non fece nulla, o meglio, «si asteneva da ogni atto concreto di indagine, sebbene sollecitato più volte». Morale: un anno dopo, il tizio ha accoltellato e ucciso anche la moglie. Il caso passò dal Csm nel 2016 ma finì «ancora prima di cominciare», dice Zurlo: perché il pm intanto si era dimesso. Quindi si archiviava. In altri casi, come detto, si ammoniva, si censurava, o si assolveva. Diciamolo meglio: si abbaiava, perché cane non mangia cane. Neanche quando è un ba**do. 

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