Il caso

Niccolò Ciatti, scarcerato il ceceno che lo ha ucciso. Sconcertante decisione in Procura, se questa è giustizia

Francesco Specchia

Non è più giustizia, qua siamo alla pièce di uno Ionesco impazzito apparecchiata in un'aula di tribunale. Questa è la storia disperatamente insulsa di uno studente di Scandicci di appena 21 anni assassinato nel parcheggio di una discoteca, così, senza un perché, in una notte spagnola senza luna. Ed è pure la storia del suo carnefice, un lottatore ceceno di 26 anni - una bestia che nulla ha d'umano oggi consegnato ai libri di storia da un'incredibile decisione della Corte d'Appello di Roma. Rassoul Bissoultanov, al crepuscolo del 12 agosto 2017 a Lloret de Mar, in Costa Brava, aveva ammazzato a calci Niccolò Ciatti per il solo gusto di picchiare, di ascoltane le grida, di schiantarne ossa sull'asfalto. Immortalato dalle telecamere mentre si puliva le sneakers sulla tempia del ragazzo immersa nel sangue, era stato arrestato in Germania; e spedito in Spagna, ed estradato in Italia.

A PIEDE LIBERO - Oggi è stato rilasciato dalla giustizia italiana che ne aveva sollecitato il trasporto al carcere romano di Rebibbia. Sicché, abbiamo un killer spietato a piede libero a causa - pare - del solito vizio di procedura, anzi di procedibilità verso il reo. Non sono ancora uscite le motivazioni ufficiali della decisione dei magistrati, ma i giudiziaristi ci rivelano che i giudici «hanno ritenuto che Bissoultanov non fosse presente sul territorio italiano quando è stata emessa la misura di custodia cautelare nei suoi confronti». Trattasi dell'usuale cavillo che sventra la fiducia nelle toghe e nei codici. Il concetto di giustizia ingiusta, a dire il vero non è nostro appannaggio. L'altro imputato, Mosvar Magomadov, 24 anni, dopo un periodo di carcere in Spagna, per dire era già fuori; e il terzo sciacallo Khabibul Kabatov, 22 anni, l'ultimo complice, era tornato in Francia dopo essere stato inspiegabilmente rilasciato sulla parola.

L'omicida - dalle immagini, addestrato ad uccidere - avrebbe dovuto essere giudicato con l'accusa omicidio volontario, in Italia, il 18 gennaio prossimo. «La procura di Roma aveva disposto il giudizio immediato per Bissoultanov» dice Agnese Usai, legale dei Ciatti «ovvero senza udienza preliminare e dunque tagliando i tempi di almeno un anno e mezzo. Ma adesso con la sua scarcerazione si rischia che il processo sia celebrato con l'imputato in contumacia. E c'è il rischio che il ceceno possa fuggire chissà da quale parte del mondo». Non è solo un rischio, è certezza. È l'unica certezza nell'eterna incertezza del nostro diritto penale. Quindi mentre le agenzie battono questa notizia grottesca corredata dalla foto di Nicolò, col suo pizzo rado, lo sguardo allegro e il sorriso a mezz' asta nell'abitacolo della sua auto, be', ecco che i commenti si affastellano sull'onda emotiva.

Il più doloroso è quello di Luigi Ciatti, il papà: «Avrei voluto guardarlo in faccia l'assassino di mio figlio e invece lui è un uomo libero». Il commento più di circostanza produce «condoglianze e sconcerto», è quello di Sandro Fallani e Dario Nardella sindaci, rispettivamente, di Scandicci e di Firenze. Idem per l'eurodeputata della Lega Susanna Ceccardi e per la deputata Pd Rosa Di Giorgi. I commenti più pragmatici e giudiziariamente evocativi sono quelli dell'onorevole fiorentino e responsabile organizzazione di Fratelli d'Italia Giovanni Donzelli che annuncia «un'interrogazione parlamentare» sul caso. Ma pure quelli dell'omologa Maria Elena Boschi di Italia Viva. La quale si spinge ad evocare i «familiari di Niccolò che non vogliono vendetta ma giustizia»; e, «per una giustizia rapida e certa», richiede pure un coinvolgimento della Guardasigilli Marta Cartabia». Insomma, come avviene spesso quando lo tsunami della tragedia supera i livelli di guardia, la politica si erge sulla cronaca.

L'INDIGNAZIONE - Anche se, aldilà, della giusta indignazione, cara Presidente Boschi, non si capisce bene cosa possa davvero fare la Cartabia nella fattispecie. La realtà, alla fine, è una sola. Qualunque sia la giustificazione ufficiale, lasciarsi invadere e sopraffare dalla follia del vizio procedurale in un caso acclarato di omicidio, resta un peccato mortale. La sequela dei casi giudiziari sciolti nell'acido dell'incompetenza purtroppo non è nulla di nuovo; l'ultimo balzato in ordine di tempo è la vicenda dell'omicidio del personal trainer Luca Sacchi, dove l'intero processo rischia l'annullamento dopo decine di udienze per un errore della Procura contestato dagli avvocati del killer. Per dire. Il paradosso di uno Stato che grida e s' indigna per punire un assassino che subito rilascia lascia senza parole. È grottesco. Forse anche senza soluzione, se non quella di una riforma articolata della Giustizia. Ionesco, appunto. In un film dell'orrore...