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Eni, un'inchiesta scandalosa: così i magistrati hanno bloccato 70 miliardi

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Michele Zaccardi
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È finita con un buco nell'acqua l'inchiesta per corruzione internazionale intentata nei confronti di Eni e dei suoi manager per lo sfruttamento di un giacimento petrolifero in Nigeria. Le indagini, che si sono trascinate per otto anni, non solo hanno macchiato la reputazione del colosso energetico italiano ma hanno anche prodotto dei danni economici ingenti a tutte le parti in causa. Nel complesso le vicende giudiziarie e il governo nigeriano hanno messo a rischio un progetto dal valore di 70 miliardi di euro. Mentre soltanto di spese legali, comprese quelle per una vicenda analoga in Algeria, Eni ha dovuto sborsare 100 milioni di euro. Ma andiamo con ordine. L'affaire Nigeria nasce dall'Opl 245, sigla che sta per Oil Prospecting License, una concessione esplorativa per il più grande giacimento petrolifero del Paese (due campi con riserve stimate pari a 9 miliardi di barili), situato a 150 chilometri al largo del delta del fiume Niger. Dal 1998 al 2011 la licenza è invischiata in contenziosi giudiziari e arbitrati internazionali tra il governo nigeriano, la compagnia britannica Shell e la società locale Malabu.

 

 

 

I RITARDI

Il 30 ottobre 2010 Eni prova, attraverso la sua controllata Nigerian Agip Exploration (Nae), ad acquistare il 100% delle quote dell’Opl 245, ma l’offerta non viene accettata dal governo. Che, però, preoccupato dai mancati introiti causati dai ritardi nella messa in funzione del giacimento, a novembre apre una trattativa con Shell, Malabu ed Eni. Pochi giorni dopo, si verifica un altro stallo: Mohammed Abach,ilfiglio del presidente nigeriano che nel 1998 aveva assegnato la licenza a Malabu, rivendica il 50% delle azioni di quest’ultima. Visto l’andazzo, l’allora direttore generale di Eni, Claudio Descalzi, blocca il negoziato. La soluzione viene superata grazie all’intervento del ministro della giustizia della Nigeria, che mette al riparo la compagnia italiana da eventuali contenziosi tra Shell e Malabu, liquidando la società nigeriana. Alla fine, il 29aprile 2011 viene firmato un accordo tra le parti. Eni e Shell versano 1,3 miliardi di dollari al governo e diventato comproprietari del progetto. Da allora, però, dal giacimento non è stata estratta una goccia di petrolio. Il motivo? Nonostante la richiesta fatta da Eni nel rispetto dei termini di legge, la Nigeria, con la scusa dei procedimenti giudiziari pendenti, non ha mai trasformato la licenza da esplorativa in estrattiva, rendendo impossibile l'avvio della produzione. Per questo, nel settembre del 2019 la compagnia italiana ha fatto ricorso al Centro Internazionale perla risoluzione delle controversie sugli investimenti. Anche perché i 2,5 miliardi di dollari, tra investimenti e costo della licenza, spesi da Eni e Shell rischiano nel frattempo di essere messi a repentaglio: la concessione è infatti scaduta l'11 maggio 2021. In ogni caso, il punto sarà oggetto dell'arbitrato che dovrà stabilire se il comportamento delle autorità nigeriane sia stato illegittimo. Ma i ritardi del governo di Abuja hanno causato una perdita di ricchezza anche per la popolazione locale. Secondo uno studio condotto dal centro di ricerca OpenEconomics, il progetto Opl può generare un incremento del Pil nigeriano di 41 miliardi di dollari spalmati su 25 anni, ovvero 1,64 miliardi di dollari all'anno, e dare lavoro a 200mila persone con un impatto sui redditi pari a 12 miliardi di dollari. Non solo. Aumenterebbero di 15,1 miliardi di dollari anche le entrate fiscali del governo: 4,8 miliardi dal tasse dirette e 10,3 da indirette. A questo, poi, vanno aggiunti i 7,1 miliardi di dollari (il 50% dei quali spesi in Nigeria) di investimenti messi sul piatto da Shell ed Eni. 

 

 

 

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