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Firenze, trovata la sentenza già scritta a processo in corso: scandalo in magistratura

sabato 24 febbraio 2024

2' di lettura

Il pubblico ministero non aveva chiesto la condanna o l’assoluzione per l'uomo alla sbarra per maltrattamenti in famiglia, ma il giudice aveva già deciso: 5 anni e mezzo di carcere. Ha dell'assurdo la vicenda raccontata dal Corriere Fiorentino che dà conto della denuncia della Camera Penale di Firenze partita dopo che il legale di un uomo in attesa del processo ha chiesto al pm di dare un’occhiata al "fascicolo del dibattimento". È stato allora che è ha scoperto la sentenza, con data del 18 ottobre 2023 (giorno dell'ultima udienza prima dell'apertura della discussione), che riportava il nome dell’imputato e la condanna a 5 anni e mezzo per maltrattamenti, ma non la firma del presidente del collegio. Il pubblico ministero, puntualizza Valentina Marotta, ancora non aveva chiesto con la requisitoria la condanna o l’assoluzione. Ancora i legali di parte civile e della difesa non avevano raccontato la loro verità sui fatti. 

Il presidente e i due giudici a latere si sono giustificati sostenendo che si trattava di un appunto, ma il legale dell'uomo ha comunque invitato i tre giudici ad astenersi, per non chiedere la loro ricusazione. I magistrati poi hanno deciso di astenersi. Una decisione che la presidente del Tribunale di Firenze Marilena Rizzo ha autorizzato lo scorso il 19 febbraio, avviando anche accertamenti.

La Camera Penale, presieduta da Luca Maggiora ha stigmatizzato l’episodio con una delibera. "Prendiamo atto delle spiegazioni del Collegio che a fronte delle legittime rimostranze e dell’invito ad astenersi formulati dal difensore trattava di una mera bozza, suscettibile di poter essere rimodulata dopo l’intervento delle parti". Ma, ha puntualizzato Maggiora, "appare evidente che una decisione era in realtà stata già assunta senza prima aver ascoltato le argomentazioni della difesa". Tale modo di "amministrare la giustizia", ha concluso il presidente della Camera Penale, "denota una visione del processo penale in cui le ragioni della difesa vengono intese alla stregua di un inutile orpello a cui si possa tranquillamente rinunciare con conseguente oltraggio del ruolo e della funzione del difensore".

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