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Giustizia, quanti dem volevano la separazione delle carriere e ora la sconfessano

Francesco Storace
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Non c’è dubbio, l’Italia è piena di nostalgici che poi rinnegano le loro radici. Il bello è che stanno a sinistra – così dicono – e si fanno pizzicare in fuorigioco sulla riforma della giustizia. Se la separazione delle carriere in magistratura è una specie di golpe, dalle parti del Nazareno ce ne sono assai di golpisti lesti a cambiare abito.

Chicco Testa, che a sinistra è stato deputato, li conosce bene e fa l’elenco di chi era a favore della riforma approvata in questi giorni dal governo di centrodestra. Li segnala con un tweet su X, la piattaforma di Elon Musk, ma ci torneremo fra poco. Anche perché sono nomi di livello, si tratta dei firmatari di quella che nel 2018 fu sbandierata come mozione Martina per il congresso nazionale del Pd.

E commenta in proposito, Chicco Testa: «Non misi dica che la riforma della giustizia non va bene perché la propone il centrodestra. È sacrosanta e buona parte del Pd ha sostenuto la stessa posizione . Il resto è propaganda». Gioco, partita, incontro.

 

 

LA MOZIONE DI MARTINA - È stato l’Huffington post a svelare, con la memoria da elefante di Alessandro De Angelis – che li pizzicò anche all’epoca – quanta ipocrisia ci sia tra i dem. Nel programma ambizioso con cui Martina puntava alla leadership del partito, «sul dossier della giustizia, vi era un punto importante, molto attuale viste le notizie di queste ore». Ecco che cosa proponeva il programma congressuale: «Il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale». A firmare quella mozione vi furono molti esponenti del Pd. E finalmente sveliamo l’arcano al lettore.

Alcuni di questi, oggi, sono ancora in Parlamento e in Senato. Una piccola carrellata. Alessandro Alfieri (attuale deputato del Pd), Mauro Berruto (attuale deputato del Pd), Graziano Delrio (attuale deputato del Pd), Vincenzo De Luca (attuale governatore della Campania), Andrea De Maria (attuale deputato del Pd), Lorenzo Guerini (attuale deputato del Pd), Simona Malpezzi (attuale deputata del Pd), Matteo Mauri (attuale deputato del Pd), Matteo Orfini (attuale deputato del Pd), Valeria Valente (attuale senatrice del Pd), Dario Parrini (attuale senatore del Pd), Francesco Verducci (attuale senatore del Pd) e Debora Serracchiani (attuale deputata del Pd, responsabile Giustizia della segreteria). Sì, proprio lei, la Serracchiani, che della giustizia di occupa per conto della Schlein e che ieri era favorevole a separare i pm dei giudici e ora li vorrebbe sempre insieme, appassionatamente. Sembra scherzi a parte.

QUESTIONE DI CREDIBILITÀ - E c’è da chiedersi quanto sia strumentale la posizione dell’attuale vertice del Pd. Non basta la solita tiritera («Io prima non c’ero», è la frase fatta di Elly Schlein), perché sulla questione giustizia sono in gioco i connotati di ciascun partito. E se bastano cinque anni per cambiare idea, è davvero difficile conquistare credibilità di fronte alla pubblica opinione.

 

 

Resterà sempre il dubbio che non vogliono mettersi contro i settori più politicizzati della magistratura, quella parte che non tollera una politica libera di fare il suo mestiere e che invece vogliono sottomessa al potere strabordante delle toghe. Idem non vogliono trovarsi nel mirino delle procure e mantengono così una posizione ibrida tra passato (recente) e presente. Chissà che cosa saranno capaci di inventarsi per il futuro della giustizia.

TRADIZIONE GARANTISTA - Eppure c’era una tradizione garantista persino nel Pci, ma oggi non vogliono più sentir parlare di una giustizia che punti a diventare finalmente giusta. Ma così, andranno davvero a sbattere. Perché di giustizia seria c’è davvero gran bisogno e la riforma passerà in Parlamento perché il centrodestra non intende affatto fermarla perché il Pd di ora non vuole più sentirne parlare.

Liberi loro di cambiare inopinatamente idea, libero però anche chi governa di mantenere invece gli impegni riformatori presi con gli elettori e approvati dalla maggioranza degli elettori. Ma ormai il Pd è il partito del No. Rinuncia persino a migliorare le norme pur di dichiararsi sempre contrario. Anche se era favorevole.
 

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