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I danni della magistratura che si sente onnipotente: un fatto pericoloso

di Gianluigi Paragone lunedì 27 gennaio 2025

3' di lettura

La sceneggiata allestita da una parte della magistratura - la solita contro il ministro Nordio - è un fatto assai pericoloso perché esprime una postura poco rasserenante dei giudici. A maggior ragione se lo fanno con la Costituzione tra le mani. Non è solo l’atteggiamento verso un altro potere dello Stato pienamente legittimato, che di per sé distorce l’equilibrio tra poteri e la indispensabile terzietà delle toghe. Quel che mette ansia e persino paura è la dichiarazione implicita di una interpretazione che danno costoro allo spirito della Carta stessa. Sembra quasi una lettura propria di chi si sente dentro un potere assoluto, di un potere che vuole sottrarsi alla responsabilità di pagare per i crescenti errori commessi. Ci indigniamo per l’immagine dei migranti in catene perché li abbiamo visti ma con quali parole dovremmo commentare le troppe privazioni della libertà compiute perché la “malagiustizia” usala carcerazione preventiva con un atteggiamento messianico?

Sono troppi i casi di carcerazioni ingiuste, talmente tanti che l’Italia viene sanzionata per questo. L’ammontare di risarcimenti per ingiusta detenzione (pagato coi soldi dei contribuenti) sta crescendo sempre più e i racconti di chi ne è vittima sono spesso nascosti al pubblico dibattito. Eppure basterebbe far parlare queste persone o raccontare i loro casi per capire che le sentenze di condanna, poi ribaltate, sono spesso un “copia e incolla” delle requisitorie dei magistrati dell’accusa, con gli stessi errori poi appunto rovesciati. Il ministro Nordio aveva e ha tutto il diritto di parlare e di essere ascoltato anche se la visione del governo e le consequenziali riforme non piacciono: fa parte del gioco democratico; mentre lo ripeto- non fa parte del gioco sottrarsi al confronto, a maggior ragione se lo sfregio avviene all’inaugurazione dell’anno giudiziario.

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Più volte ci siamo soffermati sui gravi casi di malagiustizia e sul disservizio della giustizia. Le vittime dei tribunali scompaiono sistematicamente dalle discussioni e dai dibattiti: cosa fa paura palesare? Fa paura sentire chi racconta le pressioni psicologiche subite da pubblici ministeri troppo innamorati delle proprie tesi per guardare con equilibrio i fatti. Ebbene i fatti trasudano di tragedia: libertà privata con eccessiva leggerezza; dignità calpestata nel non tutelare persone incensurate schiaffate in celle di isolamento per farle parlare o in “compagnia” di criminali abituali che in carcere fanno valere le loro regole; costi enormi da sostenere per far valere la propria innocenza. Non tutti riescono ad arrivare al riconoscimento della propria innocenza, molti cedono prima o si ammalano gravemente. Per non dire dell’attenzione mediatica che si dedica solo nelle prime fasi delle inchieste, quelle che coincidono con la descrizione della mostruosità delle accuse, salvo poi sorvolare sul ribaltamento della situazione. Qualche storia poi diventa paradigmatica della malagiustizia com’è accaduto per l’ex calciatore Michele Padovano o per Beniamino Zuncheddu il pastore sardo che è tornato alla libertà dopo 32 annidi processi e di solitudine. Ma sapeste quante persone si sono ritrovate a dover arrampicarsi contro tutto e tutti in situazioni analoghe: cari magistrati, non sono anche costoro cittadini di quella Costituzione che voi brandite come foste gli unici “giusti” della storia? Eh no.

Anche perché poi, per quegli errori, i magistrati colpevoli non pagano mai: non pagano né da un punto di vista patrimoniale né da un punto di vista professionale perché restano al loro posto, coperti dalla casta che non vuole scalfire un potere che diventa un potere assoluto, impermeabile. Se ne può parlare una volta per sempre oppure dobbiamo accettare sempre per paura di diventare un possibile bersaglio? La separazione delle carriere è solo il primo passo. Poi speriamo che ne seguano altri affinché la giustizia torni a essere un po’ più giusta.

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