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Il partito delle toghe rosse torna sulla scena politica: è il federatore della sinistra

di Daniele Capezzone lunedì 30 giugno 2025

toghe

3' di lettura

La sceneggiatura del film è ampiamente nota. Quando il motore dell’opposizione non gira (una comitiva a Budapest, un’altra in lutto per gli ayatollah, altri ancora impegnati a leccarsi le ferite referendarie), è l’onnipotente partito delle toghe a rifarsi vivo. Di più: a farsi – al di là delle volontà soggettive – oggettivo federatore di una sinistra smarrita e priva di argomenti.

Domanda: teoria e studi astratti a parte, a cosa serviva la doppia sortita di un ufficio tecnico della Cassazione come il massimario? Per un verso, a fornire argomenti ai magistrati che, a ogni livello, si preparano a contestare i provvedimenti governativi: e che, dal week-end appena trascorso, disporranno anche dell’appiglio tecnico -giuridico di un documento della Cassazione. Non è difficile prevedere il seguito: un tribunale disapplicherà una certa norma, un altro la interpreterà distorcendola, un altro ancora interpellerà la Consulta.

Per altro verso, l’effetto sarà quello di far ripartire la campagna politica e mediatica della sinistra, che potrà dire: «Non siamo solo noi a contestare il decreto sicurezza e il provvedimento sull’Albania, ma è il vertice stesso della magistratura».

Dimenticando un doppio piccolo “dettaglio”. Primo: i decreti -legge sono esaminati (e convertiti in legge) dalle due Camere, non dai magistrati, a cui non compete alcuna potestà legislativa. Se un magistrato ha il desiderio di contribuire a scrivere le leggi, può togliersi la toga, dimettersi, candidarsi alle elezioni, e, una volta divenuto deputato o senatore, avrà pieno diritto di farlo. Secondo: non è la Cassazione, ma semmai la Corte Costituzionale, se e quando interpellata, a poter svolgere un vaglio sulla legittimità costituzionale delle norme. Operazione che molte volte, in passato, ha risentito di un forte e discutibilissimo tasso di politicità di quelle pronunce. Ora ci si mette pure un ufficio tecnico della Cassazione (sia in sede penale sia in sede civile) a fornire preventivamente cartucce a chiunque voglia sparare: ai dichiaratori compulsivi della politica, ai “liberi interpreti” dei tribunali, e – in ultima analisi – alle stesse componenti progressiste della Consulta.

Ora, sarebbe il caso di fissare qualche paletto. Siamo purtroppo abituati all’idea che, in costanza di un governo di centrodestra, “valga tutto”: e che quindi, in nome del nemico da colpire “todo modo”, cioè con qualsiasi mezzo, ogni forzatura sia accettata-ammessa-sdoganata. Ma qualcuno dovrebbe porre un freno a questo malcostume. Altrimenti, la prossima volta in cui – contro Governo e Parlamento – sentiremo invocare da varie parti il principio della separazione dei poteri, ci sarà da sorridere amaramente. Oggi, infatti, in nome dell’ostilità a un governo sgradito, si sta legittimando una clamorosa invasione di campo della magistratura nel terreno dell’esecutivo e del legislativo. E se da queste parti lo si fa notare (qualche giornale libero e non manettaro ancora esiste), è già pronta un’altra scenetta collaudatissima: i magistrati che dichiarano di essere “intimiditi” e “delegittimati”.

Non scherziamo: è vero esattamente il contrario. E sarà bene anche in sede politica tenere il punto. Sia nel merito: e quindi toccherà al governo una robusta difesa dei suoi provvedimenti.

Sia soprattutto nel metodo (e questo non dovrebbe spettare solo all’esecutivo): richiamare chi è uscito dai propri confini a rientrarvi. Tocca all’opinione pubblica più liberale – e consapevole della posta in gioco – svolgere questa funzione: in altre stagioni, una minima mossa della magistratura – a qualsiasi livello – era salutata da applausi. Oggi non è più così: la politicità di certi atteggiamenti non sfugge più alla maggioranza degli italiani.

Sono e saranno dunque gli elettori i primi custodi della volontà che hanno espresso con il voto: e che potrà essere rovesciata soltanto da un voto di segno diverso nel 2027. Non nelle aule dei tribunali. E nemmeno nei corridoi dei palazzi di giustizia.

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