Ha destato interesse il fatto che il tribunale dei ministri, chiamato a indagare su Giorgia Meloni, Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano, sia composto da tre donne: la 62enne Maria Teresa Cialoni, che lo presiede, e i giudici Donatella Casari (milanese, 59 anni) e Valeria Cerulli (51 anni, napoletana).
Ma il fatto che la corte sia tutta femminile non è l’aspetto più interessante della vicenda. A colpire, semmai, dovrebbero essere le loro biografie: tutte lontane dalla mondanità giudiziaria, dagli appelli strillati, dai dibattimenti che fanno scalpore.
Tre toghe “normali”, che per decenni hanno lavorato fuori dal cono di luce dei riflettori, su processi importanti (tutti lo sono, visto che lì si decide la vita delle persone), ma non da prima pagina, delle quali i loro colleghi e gli avvocati del foro di Roma hanno poco da dire. Tre giudici le cui spalle, ora, sono chiamate a reggere pressioni politiche e mediatiche enormi. Non se la sono andata a cercare, è una legge del 1989 che le ha messe lì: «Presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello competente per territorio è istituito un collegio composto di tre membri effettivi e tre supplenti, estratti a sorte tra tutti i magistrati in servizio...».
Il collegio dura due anni e la presidenza spetta al magistrato con funzioni più elevate, e se queste sono equivalenti a quello più anziano. Cialoni apparve nelle cronache nel 2005, quando era giudice a Latina e avrebbe dovuto interrogare il ciclista americano Lance Armstrong, accusato di diffamazione dal corridore italiano Filippo Simeoni. Le denunce furono ritirate, la vicenda finì archiviata subito. Cinque anni dopo, trasferita nella capitale, assolse «Danielona», opinionista della trasmissione “Uomini e Donne”, dall’accusa di spaccio. E un anno fa, quando era già presidente del collegio per i reati ministeriali, assieme alle colleghe respinse la richiesta di riaprire il procedimento penale a carico dell’ex premier Giuseppe Conte, dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza e di altri esponenti di quel governo, per il modo in cui avevano gestito la pandemia. Non erano emerse «nuove fonti di prova», spiegò nel provvedimento.
Il giudice Casari è da anni nella sezione Lavoro del tribunale di Roma, probabilmente l’area meno “pop” della giurisprudenza. Si è occupata delle cause dei dipendenti dell’azienda di call center Almaviva. Quanto a Cerulli, la terza sorteggiata, prima di diventare giudice penale a Roma è stata sostituto procuratore a Palmi, gip a Vallo della Lucania e giudice della sezione civile di Velletri. Una lunga carriera in cui si è occupata di frodi fiscali nel commercio, contributi comunitari incassati per frutta mai distrutta, ragazze minorenni costrette a girare film pornografici e del figlio di Vasco Rossi, accusato di aver provocato un incidente stradale nel quartiere romano della Balduina.
Storie che non potrebbero essere più distanti dal grande gioco della politica nel quale si trovano ora. Ne hanno avuto un assaggio a fine aprile, quando tutto sembrava pronto per archiviare le posizioni dei quattro esponenti del governo, e invece la procura di Roma ha chiesto che proseguissero le indagini. Sessanta giorni nei quali non è stato fatto alcun sequestro, perché non c’era nulla da sequestrare, ed è stato interrogato Vittorio Rizzi, che quando l’ufficiale libico Osama Almasri fu arrestato era direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza da appena tre giorni, ed è facile immaginare che non avesse molto da dire sulla vicenda. E adesso che anche quella proroga è scaduta e ancora non si sa nulla delle loro decisioni, e Giulia Bongiorno, che difende i quattro indagati, si è detta pronta a presentare denuncia contro ignoti per la divulgazione di atti che dovevano restare riservati, forse le tre toghe maledicono il momento in cui dal sacchetto di quella tombola sono usciti i loro nomi.