È l’estate in cui si torna a un grande livello di scontro tra parte della magistratura e governo. Da cui non è possibile scindere un dato di contesto, e cioè l’innalzamento di intensità dopo il completamento della seconda lettura parlamentare per la riforma della giustizia, che prevede separazione delle carriere e riforma del Csm. Passaggio intermedio, il riacutizzarsi del caso Almasri, con il Tribunale dei Ministri che archivia la posizione della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e chiede l’autorizzazione a procedere per i ministri Nordio e Piantedosi, oltre al sottosegretario Alfredo Mantovano.
L’altra sera, intervistata al Tg5, la premier ha affermato di vedere «un disegno politico intorno ad alcune decisioni della magistratura», specie sui temi riguardanti l’immigrazione. E ha specificato: «A me non sfugge che la riforma della giustizia procede a passi spediti e ho messo in conto eventuali conseguenze».
REAZIONE ENERGICA
Queste parole, ieri, hanno suscitato la reazione durissima della Giunta esecutiva centrale dell’Anm: «I magistrati non fanno politica, fanno il loro mestiere ogni giorno nonostante insulti, intimidazioni e una campagna costante di delegittimazione che danneggia i fondamenti stessi del nostro Stato democratico». E poi riportano il dettato dell’articolo 101 della Costituzione: «La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge». Dunque, sottolineano, «non esiste alcun disegno avverso all’esecutivo, affermarlo significa non comprendere il funzionamento della separazione dei poteri dello Stato». Anche i consiglieri togati di Unicost del Csm attaccano, imputando a Giorgia Meloni dichiarazioni «inaccettabili». «I magistrati, come sanno tutti gli esponenti del governo, assumono le loro decisioni in autonomia e indipendenza sia dalla politica che dagli altri giudici: si tratta della separazione dei poteri, pietra miliare della democrazia e su cui anche la nostra Repubblica è fondata». In precedenza, intervistata sul Domani era stata la segretaria del Pd, Elly Schlein, a scagliarsi contro le dichiarazioni della Presidente del Consiglio: «Insinuare che i giudici agiscano non a tutela della legge ma per un disegno politico è un atteggiamento eversivo. E non è la prima volta».
Dal Movimento 5 Stelle, invece, è Giuseppe Conte, con un post su Instagram, ad attaccare: «Meloni piagnucola su social e in tv, dove ha inaugurato un nuovo genere: l’intervista senza domande. Lo fa rispolverando l’usato sicuro, utilizzato per anni nei governi di cui anche lei ha fatto parte e che ha sostenuto: ho i giudici contro, gli avversari usano la magistratura per contrastarmi». E affonda: «Prenditi qualche responsabilità, Giorgia. Lavora per risolvere i problemi degli italiani, non quelli tuoi e della Santanchè. Sei il Presidente del Consiglio, non Calimero». Evidentemente, l’allineamento a difesa dell’interventismo della giurisdizione è uno dei pochi possibili in una sinistra costellata dalle divisioni sulla gran parte dei temi.
CENTRODESTRA UNITO
Dal centrodestra, il vicepresidente della Camera ed esponente di Fratelli d’Italia Fabio Rampelli osserva: «Dall’uso strumentale della tragedia umanitaria di Gaza alla guerra in Ucraina, passando per il caso Almasri e per la difesa degli scafisti, la sinistra ha ormai un’unica strategia in Italia: ricorrere alla via giudiziaria in un’ottica anti-democratica». E prosegue: «Per abbattere un governo legittimamente eletto dal popolo italiano, non trovando strumenti, credibilità, argomenti politici e programmatici per fare un’opposizione di merito, la sinistra beneficia dell’uso della coercizione blandita da parte della magistratura militante». E il Presidente di Noi Moderati Maurizio Lupi osserva: «L’invasione di campo da parte della magistratura è un errore, così come quello della politica nella magistratura. Le scelte politiche si discutono e si confrontano in Parlamento, la magistratura non c’entra assolutamente nulla. Comunque Noi Moderati andremo avanti con tutto il governo per cambiare l’Italia». Da Forza Italia, Maurizio Gasparri, in una nota in cui ricorda il caso in cui il giornalista di Radio Anch’io Zanchini «ha fatto il nome del capo di gabinetto Bartolozzi, quasi annunciando che possa essere oggetto delle indagini della magistratura», ha aggiunto: «più di lui dovrebbero conoscere le norme i magistrati e i vertici dell’Anm».