Non è solo il costituzionalista Salvatore Curreri, sentito l’altro giorno da Libero, a sostenere che il capo di gabinetto del ministro Carlo Nordio, Giusi Bartolozzi, nel caso fosse indagata, avrebbe lo stesso “scudo” che la Costituzione assegna a ministri e parlamentari. E dunque non potrebbe essere processata, se non dopo un voto del Parlamento che autorizza i magistrati a procedere. A fare lo stesso ragionamento, citando le stesse due leggi già citate da Curreri (la n.1 e la n.219 entrambe del 1989), sono stati, ieri, i costituzionalisti Stefano Ceccanti (su Repubblica), Alfonso Celotto (sul Foglio), i presidenti emeriti della Corte Antonio Baldassarre e Cesare Mirabelli sull’Ansa e il professor Gaetano Azzariti su La Stampa.
Quest’ultimo ha spiegato che, a suo avviso, Bartolozzi deve godere dello stesso trattamento riservato a Piantedosi, Nordio e Mantovano «in base all’articolo 4 della legge 219 del 1989», in cui si «prevede che il Parlamento possa estendere il diniego di procedere anche ai soggetti “in concorso”». Secondo Azzariti, però, non sarebbe automatico, ma il Parlamento si assumerebbe «la responsabilità di un atto politicamente non neutro. Si tratta infatti», ha spiegato il costituzionalista, «di allargare una prerogativa riservata ai membri del governo a persone, non parlamentari né componenti dell’esecutivo, indagate per lo stesso reato, che, in via di principio, dovrebbero essere assoggettate alla giurisdizione ordinaria». Per Azzariti, insomma, l’immunità estesa a Bartolozzi sarebbe una scelta Giusi Bartolozzi legittima, ma politica. «Quindi», ha proseguito, «se nelle prossime settimane la procura di Roma dovesse aprire un’inchiesta a suo carico, per gli stessi reati contestati ai ministri coinvolti o, comunque, per reati connessi, la Giunta per le autorizzazioni della Camera potrà valutare il caso e arrivare a decidere di negare anche per lei l'autorizzazione a procedere, motivandone le ragioni».
Di parere leggermente diverso, invece, è il costituzionalista Ceccanti, ex parlamentare del Pd, secondo cui la capo di gabinetto gode già della prerogativa riservata ai ministri e al sottosegretario, perché il suo caso è strettamente connesso a quello del ministro Nordio. «I magistrati», spiega a Libero, replicando alla tesi di Azzariti, «non hanno fatto richiesta di autorizzazione», quindi «il Parlamento non può votare su una cosa che non è stata richiesta».
Secondo Ceccanti, «la capo di gabinetto Bartolozzi è descritta dai magistrati e ancor più da vari esponenti dei gruppi di opposizione come soggetto centrale di un gruppo che avrebbe attuato un’operazione di depistaggio. Secondo alcuni esponenti politici avrebbe avuto un ruolo persino più importante del suo ministro. Ma se questa è l’accusa», continua, «allora Bartolozzi non è isolabile dagli altri e soprattutto da Nordio, quindi anche per lei deve essere richiesta l’autorizzazione parlamentare». Quella, cioè, che vale «per i reati ministeriali» e che, «secondo le norme vigenti, non va chiesta solo per i ministri, ma anche per i soggetti corresponsabili dei medesimi reati, i cosiddetti imputati laici, non ministri. Solo se fosse stata descritta come personaggio autonomo e isolato», aggiunge, «si sarebbe potuta evitare l’autorizzazione».
Ceccanti ricorda che «in passato ci sono state (o sono ritenute possibili) interlocuzioni tra Parlamento e autorità giudiziaria per eventuali richieste sull’istruttoria, su profili ritenuti da integrare o da chiarire. Quindi», conclude, «non possiamo escludere che la Camera chieda al tribunale dei ministri di modificare la richiesta inserendo anche la Bartolozzi». C’è poi un altro elemento che rafforza la tesi secondo cui anche la capo di gabinetto del ministro della Giustizia debba godere dello “scudo” riservato ai ministri e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
Ed è proprio la posizione di Alfredo Mantovano, che non è né ministro, né parlamentare. Lo ha chiarito, ieri, Devis Dori, presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera dei deputati: «La posizione del sottosegretario Mantovano», ha spiegato, «si è trovata all’esame del Tribunale dei ministri e poi della Giunta delle autorizzazioni solo e soltanto in quanto legata a quella del ministro Nordio». La Giunta, infatti, ha applicato l’articolo 96 della Costituzione e la legge costituzionale n. 1 del 1989, «cioè la competenza del Tribunale ministri per Nordio e Piantedosi ha “trascinato” Mantovano in quanto è unico il procedimento». Dori ha poi aggiunto una chiosa: «Così sarebbe avvenuto anche se vi fossero stati altri ipotetici indagati sempre per il medesimo procedimento, cioè anche in quel caso la loro posizione sarebbe stata al nostro vaglio».
Dunque, se Bartolozzi fosse indagata, oggi la Giunta della Camera avrebbe dovuto vagliare anche la sua posizione. Così come accadde nel 2006 con Calisto Tanzi e Romano Bernardoni (non parlamentari, né ministri) indagati per concorso nel reato di finanziamento illecito con l’allora ministro Gianni Alemanno. Intanto ieri il M5S ha chiesto le dimissioni di Nordio, sostenendo che avrebbe «mentito al Parlamento».