Nessuna sorpresa nelle stanze del governo, l’intensificazione dello scontro da parte dei magistrati era prevista. Già messa nel conto dei prossimi mesi, resi roventi dall’approvazione della riforma costituzionale della giustizia, dal successivo referendum e quindi dalle elezioni politiche. Ieri se ne è avuta la conferma: Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto del ministero della Giustizia, è indagata, già dai primi giorni di agosto, dalla procura di Roma, nell’ambito del procedimento sul caso Almasri. Il generale libico arrestato a gennaio e subito rispedito in patria dal governo italiano, vicenda per la quale il tribunale dei ministri ha chiesto l’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Nordio e Piantedosi e del sottosegretario Mantovano, ipotizzando, a vario titolo, i reati di favoreggiamento, peculato e omissione di atti d’ufficio.
I tre membri del governo, infatti, potranno essere processati solo col via libera da parte della Camera. In base a una legge costituzionale del 1989, questa può negarlo qualora reputi «che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico». Proprio questa, ovviamente, è la posizione della maggioranza di governo. Oggi stesso è previsto che per loro tre si riunisca la giunta per le autorizzazioni, chiamata a decidere entro fine mese, prima che l’aula dia la parola definitiva. È diverso, almeno in questa fase, il caso dell’alto dirigente di via Arenula. Per lei l’accusa ipotizzata è quella prevista dall’articolo 371 bis del codice penale, ovvero aver fornito «false informazioni al pubblico ministero». Un’imputazione scontata, dopo che il tribunale dei ministri, ascoltata Bartolozzi il 31 marzo scorso, aveva giudicato la sua versione dei fatti «sotto diversi profili inattendibile e, anzi, mendace». Per procedere nei suoi confronti i magistrati non hanno chiesto l’autorizzazione alla Camera: significa che non ritengono il suo reato “collegato” a quello di Nordio, il ministro del quale era il braccio operativo.
Almasri, Bartolozzi indagata: sull'Anm aveva ragione Carlo Nordio?
Giusi Bartolozzi indagata. Il capo gabinetto del ministro Carlo Nordio, secondo quanto rilanciato inizalmente dall'a...Processare Bartolozzi in questo modo consentirebbe anche di chiamare a testimoniare gli stessi Nordio, Piantedosi e Mantovano, oltre ad altri presenti nella chat online in cui fu discusso il trattamento da riservare a Osama Njeem Almasri, tra cui ci sarebbero dirigenti dell’intelligence e della polizia. Il processo raggiungerebbe la fase più importante verso la fine della legislatura e dunque in coincidenza della campagna elettorale: perfetto per tenere alta l’attenzione su quello che la sinistra considera il suo argomento migliore. Non a caso, il verde Angelo Bonelli è convinto che il caso Almasri sia destinato a diventare «il Watergate italiano».
Non è affatto scontato, però, che la linea scelta dai magistrati sia corretta e destinata a passare. Le norme, infatti, vanno in direzione opposta. A partire dalla legge 219 del 1989, in cui si stabilisce che il «diniego» della Camera alla richiesta di autorizzazione a procedere possa riferirsi anche a un soggetto «non ministro né parlamentare» che abbia agito in concorso con un ministro. Che sia andata così, Nordio lo ha ribadito anche ieri, esprimendo «piena e incondizionata solidarietà» a Bartolozzi, la quale, spiega il ministro, «ha sempre agito nella massima correttezza e lealtà», informandolo «tempestivamente ed esaurientemente delle varie fasi della vicenda Almasri e di tutti gli aspetti ad essa relativi». Sulla base di questi elementi il guardasigilli fa sapere di aver «fondato» le proprie valutazioni. La dirigente, in altre parole, avrebbe fatto tutto per conto di Nordio, e dunque non è possibile procedere nei suoi confronti senza il via libera del parlamento.
È la posizione corretta anche secondo costituzionalisti di area progressista, come Stefano Ceccanti. «Era già chiaro sin dall’agosto scorso», spiega, «che c’era una contraddizione nella richiesta del tribunale dei ministri: era descritto un ruolo integrato del capo di gabinetto Bartolozzi nella motivazione, ma poi non si chiedeva per lei un’autorizzazione». Spetta quindi alla giunta insistere affinché il dirigente sia aggiunto dai magistrati ai soggetti per cui l’assemblea di Montecitorio deve dare l’assenso a procedere. Se questa integrazione non ci fosse, «sarebbe possibile perla Camera promuovere conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale».
C’è un precedente, ricorda Ceccanti. Vede protagonista Pierluigi Castagnetti, deputato del Pd, che nel 2010 era presidente della giunta per le autorizzazioni. Al magistrato che aveva chiesto l’autorizzazione a procedere nei confronti del forzista Pietro Lunardi, scrisse di presentare «esplicita domanda» anche per gli «ipotizzati concorrenti» nel reato. Un’ipotesi di cui la giunta potrebbe discutere oggi stesso, durante una riunione che non era stata convocata per discutere dell’indagine su Bartolozzi, ma che difficilmente potrà ignorare l’elefante nella stanza.