A sinistra sognano di trasformare il referendum sulla giustizia della prossima primavera in un voto contro il governo di Giorgia Meloni. Vecchia tradizione progressista, che fece anche una vittima illustre: Matteo Renzi, che nel 2016 si giocò tutto con il voto popolare sulla riforma del Senato trovando però fuoco amico nel suo stesso Partito democratico. Bene, ora l'ex premier ha un'altra occasione per vendicarsi: il leader di Italia Viva ha infatti lasciato libertà di voto "secondo coscienza" ai suoi sostenitori. Una indicazione che potrebbe pesare non poco sul quesito. Ma soprattutto, un altro segnale di tensione all'interno del cosiddetto, impossibile campo largo.
"C'è solo uno snodo, le politiche. Il resto non conta quanto le politiche, referendum incluso. Noi non avremo un Mamdani ma dobbiamo costruire un percorso per stare insieme, tutti, senza eccezione. Poi chi ci metterà faccia si vedrà", assicura Renzi in una intervista a Open. La verità però è che con il Movimento 5 Stelle e il Pd più vicino a Elly Schlein, totalmente appiattito sulle posizioni dell'Associazione nazionale magistrati, la divergenza sul referendum rischia di innescare nuove polemiche. E non è da sottovalutare, però, il fatto che l'ala più moderata e riformista del Pd sia assai più propensa a votare "sì" anziché "no". Insomma, il voto anti-Meloni potrebbe facilmente trasformarsi in un voto anti-Schlein.
Intanto, spiega un retroscena sul Messaggero, dal centrodestra contano di imbastire una campagna per il "sì" alla Piero Angela, chiara, tecnica e con finalità divulgative. Possibile testimonial Antonio Di Pietro, l'ex magistrato di Mani Pulite che in contrasto con molti ex colleghi si è detto assolutamente favorevole a questa "riforma della magistratura, non della giustizia". Anche se, per ovvi motivi storici visti i precedenti con Silvio Berlusconi, da Forza Italia avrebbero già fatto trapelare una certa ritrosia.
Quel che è certo è che nel campo delle opposizioni siamo all'anarchia, al liberi tutti: appoggerà il "Sì" Carlo Calenda, Renzi scioglierà la sua personale riserva solo all'ultimo. E nel Pd crescono i malumori: "La verità è che Schlein non vuole metterci la faccia - recita una fonte del quotidiano romano -: dopo aver perso sonoramente la sfida del referendum sul Jobs act, trema al rischio di ripetere lo stesso errore. Ecco perché stavolta resterà tre passi indietro".