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Mamdani, la sinistra in crisi festeggia? Ma l'estremismo sfonda solo a New York

I progressisti fanno loro il successo del candidato radicale. Quello che però non capiscono è che una ricetta del genere, alle nostre latitudini, verrebbe rifiutata in toto
di Tommaso Montesano giovedì 6 novembre 2025

3' di lettura

La sinistra italiana in (eterna) cerca d’autore ha un nuovo faro: Zohran Mamdani, il sindaco eletto di New York City. Ai progressisti nostrani non importa che il candidato democratico abbia vinto con una piattaforma talmente radicale da aver spaventato lo stesso vertice politico dell’Asinello (i leader democratici, presenti e passati, si sono guardati bene dal sostenerlo pubblicamente). Né interessa, ai leader del “campo largo” che ieri mattina si sono affrettati a esultare per il «bel risveglio» newyorkese, come ha fatto ad esempio Elly Schlein, che nella “grande mela” dal dopoguerra ad oggi solo in quattro occasioni hanno vinto candidati repubblicani. Un progressista che vince a New York, insomma, politicamente parlando è una “non notizia”.

Non a caso come ha ricordato qualche giorno fa Gregory Alegi sul Sole 24Ore, «le primarie democratiche sono considerate la vera elezione». Si dirà: ma i dem - italiani - esultano per il “personaggio” Mamdani: giovane, immigrato, portatore di istanze sociali, musulmano, determinato a ridare la «voce ai più fragili», come dice Nicola Zingaretti, capo-delegazione del Pd al Parlamento Ue. Peccato che il candidato dell’Asinello abbia vinto sulla base di una piattaforma elettorale che se fosse adottata dai dem americani su base nazionale, difficilmente gli consentirebbe di fare meglio di Kamala Harris: “Intifada globale”, taglio dei fondi alla polizia, depenalizzazione dei furti sotto i 2mila dollari, inasprimento del “grande fratello” fiscale. Alla faccia dell’allargamento della coalizione, tradotto in salsa italiana, per vincere conquistando indecisi ed elettori indipendenti.

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Né la sinistra nostrana si è fatta alcuna remora nell’urlare allo «squarcio di luce nel buio americano», le parole sono di Nicola Fratoianni, uno dei leader di Avs, una volta in cassaforte la vittoria di Mamdani. Che si guardi Oltreoceano, o all’Italia, i progressisti hanno battuto il centrodestra, o conservatori che dir si voglia, quando si sono spostati verso il centro (Clinton, Obama e Biden negli Usa, il cattolico Romano Prodi in Italia). Non certo con un frontman di sinistra radicale. Ma tutto questo all’opposizione italiana, desiderosa di mettere il cappello su qualsiasi cosa profumi di vittoria, non interessa. «La sinistra torna a vincere con parole e programmi chiari su stipendi dignitosi, sanità davvero universale, sul diritto alla casa, sui trasporti e i nidi gratis per chi non ce la fa», alza metaforicamente le braccia al cielo la segretaria del Pd, Schlein.

Nel pomeriggio entrerà nel dettaglio Marco Furfaro, responsabile welfare del Pd: Mamdani, puntualizza, «ha parlato di affitti che divorano stipendi, di autobus gratuiti, di scuole accessibili, di supermercati pubblici per combattere il carovita, di un’economia che non lasci indietro nessuno». Chissà se si tratta di un’anticipazione del programma del Pd per il 2027. Un programma “socialista” e massimalista, appunto, con il quale si può vincere nella progressista New York, non certo alle elezioni di mid-term o, per estensione, in Italia. Poca importa, al “campo largo” sentono il bisogno irresistibile di mettere la firma su un successo. «L’elezione di Mamdani ci racconta che la sinistra vince quando fa la sinistra. Senza timidezze, senza tentennamenti», dice Laura Boldrini, ex presidente della Camera e ora deputata dem. Eppure è lei stessa, subito dopo, a entrare in contraddizione quando ricorda che i democratici hanno vinto anche in New Jeresey e Virginia con due governatrici bianche e moderate come Mikie Sherrill e Abigail Spanberger.

Si fa sentire anche il sodale di Fratoianni, l’onnipresente Angelo Bonelli, che per una notte si sente il Mamdani italiano: «Come Alleanza verdi e sinistra, e lo dico con forza, è esattamente quello che stiamo facendo in Italia: essere il riferimento dei giovani, del mondo del lavoro, di chi non ha voce, di chi viene lasciato indietro». Tutti vogliono metterci la faccia, oggi. Ecco il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo (Pd), che vede nel collega di New York uno simile a lui: «È un’elezione che parla di inclusione e comunità, segnale di come le città e la politica possano scegliere una visione che mette al centro le persone, costruendo città più aperte e accoglienti». Il suo collega di Bologna, Matteo Lepore, anche lui dem, si lascia andare un po’ di più: «Sono felice che a New York sia stato eletto un sindaco socialista. Il socialismo sta tornando di moda».

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